A causa del crescente divario fra alti costi delle produzioni nazionali e prezzi sul mercato globale, i nostri agricoltori sono stati costretti ad una significativa riduzione delle superfici coltivate a grano. E’ la manifestazione evidente di una sintomatologia da non trascurare perché fa parte della grande problematica riguardante la “sicurezza alimentare” globale che preoccupa l’intera umanità e che deve essere responsabilmente affrontata anche a livello delle singole nazioni. Gli effetti della crisi cerealicola del 2007 fanno riflettere sulla inaffidabilità del mercato globale per assicurare l’approvvigionamento dei prodotti primari (commodities) indispensabili. Quest’anno è bastata un’estate sfavorevole in Russia perché una presunta diminuzione della produzione mondiale di grano creasse un altro preoccupante allarmismo generale.
Per comprendere meglio il problema, bisogna aver presente che nel tradizionale rapporto diretto fra produttori agricoli e consumatori si sono interposte importanti e complesse “filiere alimentari”, che ormai coinvolgono una serie crescente di distinte e autonome attività imprenditoriali (per la preparazione, trasformazione, imballaggio, commercializzazione, distribuzione, ecc.). La miriade di prodotti alimentari che viene oggi immessa sui mercati ottiene un notevole valore aggiunto complessivo, spesso con un forte divario fra i prezzi al consumo e quelli pagati per le materie prime agricole. Allo stesso tempo, invece, per gli agricoltori i costi continuano ad aumentare indipendentemente dai prezzi dei loro prodotti. D’altra parte, le industrie alimentari non sono legate da alcun obbligo nei confronti delle corrispondenti produzioni primarie nazionali e sono giustamente libere di approvvigionarsi di materie prime sul mercato globale. Troppo spesso, i nostri agricoltori vengono così esclusi del tutto dalle filiere ed è quindi legittimo il diritto a vedere segnalata ai consumatori, con piena chiarezza, l’origine esatta dei prodotti primari utilizzati.
La situazione attuale non è sostenibile e sta determinando nel mondo dell’agricoltura un diffuso malessere, disorientamento e pessimismo. Esso è posto in crisi anche da improvvide importazioni di prodotti primari agricoli (cereali, olii di oliva, latte e derivati, pomodori, ecc.). Ne consegue la necessità di tutelare ed equilibrare i redditi di tutti coloro che operano in una stessa filiera, anche attraverso forme di compartecipazione agli utili derivanti dal valore aggiunto complessivo. In questa direzione sembra appunto andare la relazione approvata ora, in seduta plenaria, dal Parlamento Europeo su “Entrate eque per gli agricoltori”. Un siffatto, lungimirante principio potrebbe portare, nell’interesse di tutti, ad un indispensabile equilibrio dei redditi nell’ambito delle filiere nazionali di prodotti alimentari autenticamente made in Italy e potrebbero così contribuire alla sopravvivenza della nostra agricoltura, che oggi vede invece cadere in una colposa indifferenza la sua oggettiva difficoltà a rendersi competitiva in un mercato globale ancora in attesa di regole.
(vedi anche La Nazione del 1 ottobre 2010)