Fino alla metà del secolo scorso, abbiamo contribuito al progresso, in un contesto che era meno dinamico e complesso, prevalentemente guidato e tutelato da politiche nazionali. Nell’arco degli ultimi cinquanta anni, abbiamo invece vissuto un travolgente susseguirsi di tanti eventi straordinari, capaci di far sparire in breve tempo anche la nostra millenaria civiltà contadina. Abbiamo dovuto affrontare radicali cambiamenti e, solo ogni tanto, ci accorgiamo di aver modificato il nostro stesso modo di pensare, di essere e di agire.
I più grandi problemi attuali (quali i cambiamenti climatici, le risorse energetiche, la sicurezza alimentare) sono di interesse mondiale e possono quindi essere risolti solo con scelte condivise appunto a livello globale.
Se ne deve trarre una evidente conclusione:
gestire il complesso di tante nuove realtà, di interesse planetario, non è più alla portata di singoli Paesi, per quanto potenti possano essere. Ciò vale anche per le imprese agricole che, per quanto grandi ed abili possano essere, avranno sempre maggiori difficoltà ad operare singolarmente nel proprio microcosmo.
Si impongono quindi orizzonti più ampi ed azioni lungimiranti, ma in archi temporali più brevi. Per le attività agricole ciò comporta maggiori difficoltà. D’altra parte, l’importanza strategica dell’agricoltura va emergendo sempre più negli ormai frequenti
Summit mondiali a vario livello, riconoscendone la capacità di offrire soluzioni ai grandi problemi già citati. Avendo quindi bisogno di assumere dinamiche più veloci, rispetto a quelle tradizionali, anche la futura imprenditorialità agricola richiede impostazioni ed intenti diversi da quelli del pur recente passato, finora basati sulla classica disponibilità di tre sostanziali elementi: capitale fondiario, lavoro e capitali di esercizio (che costituivano il saldo pilastro della nostra mezzadria). In prospettiva, le attività produttive delle aziende agricole avranno, invece, bisogno di
due soli capitali: quello
umano (fatto di conoscenze, a cominciare dal
know how produttivo, manageriale e di mercato) e quello
finanziario (per procurarsi l’uso degli strumenti necessari, quali terra e macchine).
Conoscenza e finanza, rappresentano quindi il binomio indispensabile dell’
agribusiness per il rilancio economico del Paese. La proprietà fondiaria è, e rimarrà, un importante punto di partenza e di garanzia, ma non è l’unico. Gli agricoltori hanno tradizionalmente compiuto, nei secoli, un enorme e benemerito lavoro, introducendo e migliorando attività e tecniche capaci di valorizzare le proprie terre ed il loro habitat. Ma gli stessi imprenditori agricoli cercheranno anch’essi di delocalizzarsi e di operare laddove le condizioni ambientali generali (quindi non solo quelle pedoclimatiche) siano più favorevoli, anche senza espatriare. Avranno comunque bisogno di incontrare un credito lungimirante, che sappia comprendere ed accettare la realtà dei rischi, inscindibilmente legati allo stesso concetto di imprenditorialità.
Gli eventi che ci hanno recentemente colpito non ci hanno però sopraffatto e neppure stordito. Siamo in grado di reagire e correggerne le cause. Abbiamo le conoscenze e le forze per sviluppare le nostre capacità ed accrescerne le potenzialità, più che mai con convinzione e decisione.
Ci attendono sicuramente tempi migliori, nuove energie giovani ed idee sempre più svincolate dal passato. Le scommesse da vincere nel prossimo futuro, anche immediato, sono tanto difficili quanto stimolanti. Dobbiamo essere preparati e pronti ad affrontarle. Questo è l’auspicio che sento di dover formulare, rivolgendomi a tutti.
( Tratto dall’intervento del Presidente dei Georgofili all’incontro di Agriventure, che si è svolto a Firenze, il 12 marzo 2012)
Foto: @Agriventure.
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