E' stato più volte ricordato nella nostra Accademia che, in Italia, si parla spesso di problemi globali ma con un forte predominio di argomenti emotivi anziché scientifici. Devo essere riconoscente al collega georgofilo Gianni Serra di avermi segnalato un lavoro scientifico che aiuta a capire meglio come si impiegano le risorse in questo nostro mondo. Si tratta di uno studio, pubblicato su
PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences) rivista di impatto molto elevato in ambito scientifico, sulla
"water footprint" (WF) , un parametro che è stato ideato all'inizio del secolo, per comprendere in maniera più approfondita i "consumi idrici" delle varie attività umane.
L'articolo comincia con la constatazione che le risorse globali di acqua dolce incontaminata (freshwater) sono sottoposte ad una forte pressione sia dai consumi crescenti che dal progressivo inquinamento. Ovviamente questa non è una novità, ma ciò che appare evidente è che il livello di scala a cui solitamente questi rilievi si riferiscono (locale, nazionale o di bacino idrico) non è in grado di descrivere ciò che accade a livello di "globalizzazione". D'altra parte conoscere bene i consumi di acqua per fare fronte alle necessità idriche di una popolazione mondiale crescente, è il primo passo per risolvere uno dei problemi di maggior urgenza di oggi.
Un aspetto che è sempre stato sottostimato è la misura precisa del bilancio idrico nel commercio internazionale sotto forma delle varie "commodities" scambiate. Per intenderci, possiamo fare l'esempio di molte nazioni importatrici che esternalizzano la loro "impronta idrica" senza darsi cura di quanto consumo idrico (o inquinamento idrico) sia stato richiesto al paese produttore.
La definizione del nuovo parametro di "impronta idrica" vuole appunto tenere conto non solo dei consumi idrici tradizionali, ma anche di quanta acqua è stata consumata per produrre le derrate importate, come pure di quei consumi idrici fatti per esportare all'esterno i vari prodotti.
L'impronta idrica è la somma di tre componenti: quella "blu" (consumo di acqua superficiale e nel suolo), quella "verde" (acqua piovana) e quella "grigia" che è un indicatore dell'inquinamento idrico.
Con questo specifico studio si è voluto quindi stimare la WF di tutta l'umanità quantificando le impronte idriche delle varie nazioni sia dal punto di vista della produzione che del consumo. Lo studio appare molto accurato ed i risultati non mancheranno di sorprendere i lettori. Ne citiamo uno di particolare significato per l'Italia e che riguarda i flussi internazionali di acqua virtuale , concernenti, cioè, lo scambio dei prodotti agricoli ed industriali nel decennio 1996-2005. Quando si considerano quei paesi che "esportano" la maggiore quantità di acqua, sotto forma di prodotti agricoli o industriali, la classifica vede al primo posto gli USA, seguiti dalla Cina, India, Brasile, Argentina, Canada ed altri; l'Italia non figura nei primi posti. Mentre passando alla classifica dei paesi che "importano" acqua vediamo che al primo posto rimangono gli USA, seguiti da Giappone, Germania , Cina e Italia.
E' certamente utile leggere questo studio per potersi meglio "districare" entro il difficile dibattito sulla globalizzazione. La Pubblicazione ha per titolo "The water footprint of humanity" A.Y. Hoekstra and M.M. Mekonnen. PNAS 109: 3232-3237 (2012). Notare che gli AA sono olandesi che, notoriamente, di acqua si intendono.
(foto: riservetarsiacrati.it)