A circa un anno dal convegno sulla cerealicoltura toscana, organizzato a Firenze dalla Regione Toscana e dall’Accademia dei Georgofili, nel confermare l’importanza che i cereali invernali hanno nei nostri ordinamenti produttivi (circa 1/3 dei seminativi), ci corre anche l’obbligo di rammentare come, sia la potenzialità produttiva delle diverse colture del gruppo che l’organizzazione complessiva delle relative filiere, continuino a lasciare ancora molto spazio alle possibilità di miglioramento.
Durante il convegno erano stati abbondantemente discussi, fra l’altro, gli elementi tecnici e i presupposti economici necessari per una migliore valorizzazione dei frumenti (sia tenero che duro) nei sistemi colturali e nelle organizzazioni produttive tipiche delle diverse aree, auspicando in ogni caso un’adeguata riduzione del costo di produzione per unità di prodotto; e ciò, sia negli ordinamenti aziendali più cerealicolo-industriali che nelle organizzazioni produttive più tipicamente cerealicolo-foraggere. In estrema sintesi, considerate le basse rese medie normalmente registrate a livello regionale, avevamo auspicato, da un lato, di non insistere troppo nel proporre agli agricoltori degli itinerari tecnici rivolti unicamente alla ricerca della massima resa unitaria – con la conseguente adozione sistemi colturali particolarmente intensivi - e, dall’altro lato, suggerivamo di aiutare le singole aziende cerealicole toscane a realizzare più specifici sistemi colturali “aggiornati”, effettivamente sostenibili anche dal punto di vista economico.
In questa direzione, appariva a nostro avviso indispensabile riservare la massima attenzione anche all’opportunità di individuare e adottare varietà più rustiche (vecchie o nuove che fossero), meno “spinte” in termini di produttività quantitativa, migliori sul piano qualitativo e, comunque, più facilmente adattabili alle condizioni ambientali e agronomiche tipiche dei diversi areali. Al riguardo, oggi, le esperienze sui sistemi colturali
low-input (sia integrati che biologici) hanno ormai evidenziato la concreta possibilità di definire – con la riduzione degli input tecnici (lavorazioni, concimazioni, ecc.) - un più coerente modello di agricoltura sostenibile senza particolari sacrifici economici a livello aziendale; di contro, non riteniamo affatto che altrettanti sforzi siano stati fatti per garantire agli agricoltori toscani la disponibilità di sufficienti quantità di sementi selezionate delle varietà “storicamente” più adatte agli areali di riferimento. Al contrario, ormai, appare evidente come, oggi, il comparto cerealicolo toscano soffra non poco della mancanza di una selezione varietale specifica per le nostre aree più difficili e/o delle organizzazioni produttive basate su sistemi colturali a basso input. Ed al riguardo è invece facilmente verificabile come, sia le attività locali (pubbliche e private) di miglioramento genetico che avevano contribuito non poco alla costituzione del patrimonio varietale nel secondo dopoguerra, sia la presenza sul territorio delle ditte “sementiere” (private e/o consortili) a suo tempo attive, si siano progressivamente ridotte nel corso degli anni a vantaggio della progressiva diffusione di varietà di frumenti (tenero e duro) con un’origine genetica e/o “commerciale” quasi sempre extra-regionale.
Tutto ciò premesso, se da un lato è senz’altro nostro convincimento che la crisi della cerealicoltura toscana possa trovare un importante contributo positivo anche nello sviluppo organizzato, definito, certificato e protetto di adeguate “filiere corte” (dalla semente alla tavola) per la produzione di alimenti (pane, pasta, prodotti da forno, ecc) tipici delle diverse realtà storiche, eno-gastronomiche e agro-alimentari della Toscana, dall’altro lato, è anche evidente che, nell’ambito delle diverse elaborazioni di adeguati “progetti di filiera” per la valorizzazione della cerealicoltura regionale, debba essere compresa anche la riproduzione, selezione e commercializzazione del materiale genetico appositamente selezionato per la sua “capacità di adattamento” alle tipiche condizioni ambientali e/o per un più elevato valore nutrizionale e/o nutraceutico.
Alcuni primi passi in questa direzione sono stati mossi direttamente dalla Regione Toscana (in collaborazione con Terre Regionali Toscane e con l’Università di Firenze e la Scuola Superiore Sant’Anna) nella direzione di individuare e caratterizzare (anche dal punto di vista nutraceutico) le varietà dei frumenti originarie dei nostri territori, a suo tempo raccolte e conservate come “minacciate di estinzione” e oggi ritenute più meritevoli di interesse; con l’obiettivo di perfezionare per queste l’iter di iscrizione al registro nazionale delle varietà da conservazione e, quindi, ri-organizzare il loro mantenimento in purezza e la moltiplicazione controllata, con la costituzione dei nuclei di “base”, la successiva distribuzione e commercializzazione della sementi agli agricoltori della Toscana. Un interessante resoconto delle attività sviluppate in questi ultimi anni sulle varietà di frumento tenero – spesso definite antiche - iscritte al repertorio regionale (Progetto TuSCANA) è stato recentemente presentato presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e i Dirigenti regionali, gli Studiosi ed i Ricercatori e Tecnici hanno riferito del lavoro condotto per la caratterizzazione/valutazione multicriterio dei frumenti teneri della banca regionale del germoplasma, necessario per meglio definirne le caratteristiche genetiche, nutrizionali e salutistiche, anche al fine di una loro utilizzazione immediata nell’ambito della aree e delle imprese della filiera cerealicola toscana già sensibilizzate in proposito. Un lavoro altrettanto importante è auspicabile possa essere avviato anche nell’ambito delle varietà di frumento duro; e ciò sia per il germoplasma veramente “locale” che per quello “antico” originario di altre aree della cerealicoltura italiana ma ormai “naturalizzato” toscano per la diffusione che in passato ha fatto registrare.
Se l’attività già intrapresa merita il più sincero plauso - e l’impegno alla massima diffusione dei risultati già ottenuti da parte degli addetti ai lavori - occorre a nostro avviso completare gli sforzi espressi con la predisposizione di un programma di “presentazione e di valutazione a scala territoriale” (anche utilizzando le Aziende agrarie pubbliche della nostra Regione) delle varietà “recuperate” a confronto con quelle più moderne e più diffuse nell’agricoltura convenzionale. A ciò dovrebbe a nostro avviso accompagnarsi anche la tempestiva predisposizione di un conseguente nuovo “modello” di organizzazione e gestione - adeguatamente pubblico/ privato nell’ambito del sistema agricolo regionale – in grado di assolvere agli specifici compiti della conservazione, moltiplicazione e commercializzazione delle sementi (debitamente certificate) in maniera sempre più efficiente e controllata.
Ai programmi e ai progetti che potranno essere attivati in questa direzione, siamo certi che anche l’Accademia dei Georgofili sarà disponibile a collaborare con tutti gli interessati per un’adeguata valorizzazione dell’intera filiera cerealicola toscana e, anche attraverso il miglior recupero di questa, per frenare il più possibile l’abbandono dei seminativi che ancora incombe in molte aree della nostra Regione.