Tralasciare di estendere “a ogni parte di pubblica, e di privata economia” quei principi “stabili e ragionati” già applicati alle scienze fisiche, sarebbe stato, a giudizio del medico empolese Vincenzo Chiarugi (1759-1820), un vergognoso abuso sociale.
Chiarugi, dopo aver svolto un periodo di praticantato presso l’ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze, diresse a partire dal 1788, l’ospedale detto di Bonifazio essenzialmente dedicato ai malati mentali. Grazie ai provvedimenti legislativi del Granduca e all’impegno del Nostro, le malattie psichiatriche sono finalmente viste fuori da ogni pregiudizio e valutate come e vere proprie patologie degne di appropriate terapie. Al Georgofilo Chiarugi (accademico ordinario dal 4 agosto 1791) va riconosciuto il merito di essere stato in Italia uno fra i primi medici ad adoperarsi in tal senso.
Ma nella sua attività Chiarugi non fu solo scienziato, ma fu anche uomo di pratica economia. Consapevole del grande dispendio di mano d’opera e di combustibile entrambi indispensabili elementi per “rasciugare … le biancherie” dei due grandi ospedali fiorentini nei giorni e nelle stagioni poco favorevoli, egli ideò un sistema di fornelli, tubi e sostegni in legno per la biancheria grazie al quale era possibile risparmiare numero degli addetti, tutelarne la salute e contenere la quantità di combustibile.
Di tutto questo ne parlò ai Georgofili in un suo lungo studio che presentò in occasione dell’adunanza del 3 aprile 1805. La memoria, intitolata
Sopra un metodo economico per rasciugar le biancherie nei grandi ospedali e conservata nell’Archivio Storico dell’Accademia, consiste in 10 carte manoscritte e due belle tavole a colori con relativa spiegazione.
Fino a quel momento la biancheria assai grondante d’acqua era stesa su castelli di legno e fatta asciugare grazie a mucchi di carbone acceso posti sul nudo suolo. Questi i risultati: nello spazio di tre-quattro ore si asciugavano circa quattrocento pezzi di biancheria.
E questi gli inconvenienti: era necessario un fuoco assai vivace per permettere l’evaporazione di tanta umidità e dunque grande dispendio di “materia calorica” e rischio che la biancheria per la vicinanza del fuoco si
abbronzasse e si decomponesse; inoltre pesanti erano le esalazioni di “gas carbonico” considerato il gran fuoco e dunque gravi conseguenti rischi per la salute degli operai costretti per ovviare le esalazioni a tenere aperte le finestre qualunque fosse la stagione.
Chiarugi intendeva rimediare a tutti questi inconvenienti e pertanto aveva ideato il progetto di cui dava conto all’Accademia fiorentina.
Questi i punti cardine: dotare i locali destinati all’asciugatura della biancheria di strutture composte da otto colonne in legno connesse l’un l’altra nella parte superiore da un corrente munito di una serie di intaccature sulle quali appoggiare dei bastoni per accogliere la biancheria da asciugare in luogo del tradizionale castello di legno “in quadro bislungo”; anziché mucchi di carbone sul pavimento, piazzare nella stanza un fornello di ferro munito di una cupola dalla quale dipartirsi un tubo (se ne potevano prevedere anche più d’uno) che ancorato alle colonne diffondeva il calore su tutta la biancheria stesa; dopodiché, dopo aver girato più volte all’interno della struttura, il tubo doveva usciva all’esterno “all’aria fresca”. Per areare la stanza Chiarugi suggeriva di dotare il locale di due identiche finestre poste l’una dinanzi all’altra.
Chiarugi, attraverso la messa in opera di questo suo composito sistema era certo di ottenere risultati assai positivi, primo fra tutti quello di ovviare alla dispersione del calore e permettere una sua uniforme diffusione sulla biancheria senza il rischio di rovinarla.
Con questo sistema, assicurava Chiarugi, nello stesso spazio di tempo si asciugava il doppio della biancheria e si risparmiavano più di due terzi di carbone.
Un’idea geniale ispirata dall’economia e da un principio
ante-litteram di produttività.
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