Si inaugura oggi all’Accademia dei Georgofili una mostra dedicata ai “Cabrei”, parola che si vuol far risalire al nome dei registri dei privilegi della monarchia castigliana, adottati da Alfonso di Aragona, nella prima metà del Trecento. Tali registri furono chiamati in spagnolo cabrei, dal latino “caput breve”, cioè letteralmente registro principale conciso, divenuto nel latino medievale “capibrevium” e dunque “cabreo”.
I veri e propri cabrei sono una raccolta di mappe catastali, che nel disegno particolareggiato riescono a visualizzare in modo pratico le proprietà terriere e i beni immobili. Sembra risalgano piuttosto ad un’epoca più tarda, precisamente alla metà del Cinquecento (quando l’Ordine di Malta già utilizzava questo termine) e poi al Seicento. Ma la produzione più copiosa ed artistica si ebbe nel Settecento, quando le teorie illuministiche dettero un particolare impulso ad ogni pratica che consentisse di razionalizzare la gestione e l’amministrazione pubblica e privata.
I proprietari terrieri, gli enti religiosi e le amministrazioni comunali avvertivano l’esigenza di inventariare le proprietà, fissare i confini, descrivere le strade poderali, i diritti di servitù, l’estensione dei boschi, dei pascoli e dei campi coltivati, le costruzioni coloniche disseminate sul territorio, i corsi d’acqua e quanto altro potesse tornare utile alla gestione del bene in questione. Era compito di valenti agrimensori effettuare sopralluoghi nelle tenute, per poi disegnare belle tavole a inchiostro che a partire dal Seicento furono sempre più decorate con cartigli, stemmi, rose dei venti, figure allegoriche, putti, annotazioni paesaggistiche.
Nelle prime pagine dei cabrei in genere figurava una descrizione della proprietà, dove potevano apparire notizie giuridiche sulle transazioni e sulle cessioni dei beni, sui diritti che gravavano su tali beni, sulle famiglie contadine che gestivano le attività, e quant’altro fosse utile memorizzare.
Nell’esposizione ai Georgofili appaiono cabrei tratti dalle raccolte gentilmente messe a disposizione dagli archivi Ginori Lisci, Mazzei, Rimbotti, Contini Bonacossi, Frescobaldi: si tratta di documenti preziosi per studiare e seguire le profonde trasformazioni del paesaggio agricolo e del territorio toscano.
Nell’Ottocento, la nascita e l’entrata in funzione del Catasto particellare toscano, sostenuto dai Georgofili e deciso dal Governo napoleonico, poi proseguito da Ferdinando III, portò al declino di questa vera e propria arte, che oggi Paquito Forster ha riscoperto e rinnovato, facendone intravedere un brillante futuro.
(Foto: Fattoria di Mugello. Pianta del Podere di Valluttole. Proprietà: Accademia dei Georgofili)