Il global warming”, ovvero il progressivo riscaldamento della crosta terreste dovuto a una molteplicità di fattori, è assodato e pone alla ribalta almeno tre aspetti preminenti, per quanto riguarda la viticoltura:
a) zone vitate tradizionalmente considerate “marginali” per carenza di sommatorie termiche, diventeranno progressivamente e inesorabilmente zone “vocate”. Questa condizione riguarda, ad esempio, alcune aree viticole tedesche (Valle del Reno) fino a qualche anno fa relegate alla messa in coltura di vitigni forzatamente precoci e oggi invece emergenti anche per la produzione di uve rosse a media maturazione;
b) zone vitate tradizionalmente considerate “vocate” si trasformeranno gradualmente in aree a clima sub-tropicale ponendo il problema, inverso, di sommatorie termiche in esubero rispetto ai fabbisogni. Casi tipici sono quelli della viticoltura californiana e, in parte, di quella australiana che, oltre ad essere sempre più vincolate alla disponibilità di sufficienti risorse idriche per uso agricolo, presentano, con frequenza crescente, maturazioni troppo accelerate, fenomeni di scottature e bruciature dell’uva e sintesi di aromi fortemente sbilanciati verso sentori tipici della “sur-maturazione”;
c) più in generale, il cambiamento di clima sta ponendo e porrà il viticoltore di fronte a nuove sfide che non saranno solo quella di protezione dai danni da surriscaldamento o di un ritardo, calibrato e voluto, della maturazione ma anche, ad esempio, di cambiamenti della fertilità del suolo e di cicli alterati di alcuni patogeni.
Il grado di innovazione delle tecniche è relativo ad applicazioni particolari e, apparentemente, “contro-senso”, di principi fisiologici già assodati. Tra questi, primeggia il rapporto che intercorre tra l’età delle foglie e la loro efficienza fotosintetica. E’ noto che sono le foglie di circa 40-50 giorni quelle più efficienti e che, oltre tale soglia, inizia un declino, graduale ma continuo di funzionalità. Su tale base, è evidente che, dall’invaiatura in poi, le foglie più importanti ai fini della maturazione sono quelle collocate nella porzione mediano-apicale del germoglio. Pertanto, se la finalità è quella di rallentare la maturazione, una possibilità è quella di indurre uno stress fotosintetico “calibrato” eseguendo una defogliazione meccanica piuttosto tardiva (ad invaiatura appena percepibile ad esempio) concentrata sulla parte “alta” della chioma.
Tuttavia, non necessariamente l’imposizione di uno stress fotosintetico deve passare attraverso la rimozione delle foglie; possono infatti essere utilizzate tecniche di ombreggiamento totale o parziale della chioma (tramite reti) utili anche ad ottenere obbiettivi enologici particolari. Ad esempio, un ombreggiamento limitato alla fascia dei grappoli aiuta certamente nel contenere il surriscaldamento dei grappoli e quindi nel preservare una frazione più elevata di acido malico, componente essenziale in un’ottica di vinificazione per tipologie frizzante e base spumante.
L’ultima frontiera per quanto attiene alla modalità con cui potere indurre un calibrato calo di fotosintesi è l’applicazione, alla chioma intera o a settori più contenuti della stessa, di prodotti antitraspiranti di origine naturale (es. pinolene). Il prodotto, una volta irrorato, evapora nel giro di poche ore lasciando sulle foglie una sottile pellicola trasparente che limita in maniera parziale gli scambi gassosi (30-70% rispetto a controlli non trattati) per un periodo generalmente di 40-45 gg e, una volta degradato, consente alla foglia stessa un recupero di funzionalità pressoché totale. Un altro aspetto interessante di questo approccio, oltre alla totale non invasività e suscettibilità alla meccanizzazione è che, solitamente, la traspirazione è limitata più che proporzionalmente rispetto alla fotosintesi rendendo pertanto le foglie anche più efficienti sotto il profilo della efficienza di uso dell’acqua.
Tra le tecniche fortemente “innovative” proposte in contributi di recente pubblicazione e finalizzate sempre a ritardare la maturazione o, comunque, ad ottenere un prodotto meno “surmaturo”, figura l’applicazione, in pre-invaiatura, di ormoni (auxine, nel caso specifico, irrorate alla concentrazione di 50 mg/L) notoriamente in grado di avere un’azione anti-senescenza. I risultati ottenuti su Shiraz hanno dimostrato che la maturazione, oltre a risultare più sincrona all’interno del medesimo grappolo, è stata ritardata di circa 10 gg senza alterare però il livello massimo di grado zuccherino e intensità colorante finale. Infine, la tecnica forse più “provocatoria” è quella proposta da Kontoudakis et al. (2011) che, nel tentativo di produrre vini rossi con minore gradazione alcolica e pH ma comunque dotati di piena maturità fenolica e tipicità organolettica hanno testato , con successo, su Grenache e Tempranillo, la possibilità di vinificare i grappoli solitamente eliminati con il diradamento delle uve, ottenere quindi un vino molto acido (17,8 g/L) e a bassa gradazione (5 Brix) e pH (2,78), inodore e incolore grazie a trattamenti massicci con carbone attivo e bentonite, da usare poi per “tagliare” il vino ottenuto dalle uve raccolte a maturazione fenolica completa.