La perfetta organizzazione dell’alveare, secondo Aristotele, dipendeva dalla presenza di un autorevole re che governava un folto esercito di soldati armati di pungiglione. Le api nutrici erano ermafroditi, mentre, le tozze api (fuchi) che stavano in casa e svolgevano i lavori domestici, erano femmine. Tuttavia, tre secoli prima, l’inascoltato poeta greco Esiodo, vissuto nell’VIII secolo a. C., aveva intuito che la forza lavoro dell’alveare erano le femmine. Nel 1586 M. De Torres, dimostrò che il supposto re era, in effetti la sola femmina feconda della famiglia, che venne denominata regina e il cui accoppiamento, in volo, con i fuchi, venne descritto da Jansha nel 1771; in precedenza, nel 1609, Butler aveva osservato che le api operaie erano femmine con gli ovari atrofizzati. Solo nel 1845 Dizierzon descrisse la partenogenesi arrenotoca dei maschi, che nascono da uova non fecondate, deposte dalla regina in cellette più grandi di quelle da operaia. Pur basata su erronee conoscenze della morfologia e dell’etologia delle tre caste, l’apicoltura era fiorente nel Bacino mediterraneo e le produzioni più apprezzate erano il miele e la cera, impiegata per le candele, per la ceroplastica e per le tavolette cerate; erano questi i prodotti che, insieme al grano e al vino, gli antichi romani chiedevano, quale tributo, alle province conquistate. Del tutto sconosciuta era l’attività impollinatrice, messa in luce da Sprengel, nel 1793, mentre i militari vedevano, nel pungiglione e nel carattere irascibile delle operaie-soldati, una potenziale arma da utilizzare in battaglia. Alcune testimonianze al riguardo, sono state pubblicate, nel 1942, dal pittore naturalista Beniamino Ascione, il quale avverte che “alcuni episodi capitarono per puro caso e non furono dovuti a preparazione bellica”. In epoca romana, durante la terza guerra Mitridatica (76-62 a.C), i soldati di Lucullo che, da una galleria sotterranea, erano penetrati nella città di Temiscra, furono costretti alla fuga dagli orsi e dagli sciami di api liberati dagli abitanti della città assediata. Il poeta Virgilio, vissuto dal 70 al 19 a.C., durante la guerra civile, sfuggì ai soldati rifugiandosi fra i suoi alveari nei quali nascose gli oggetti di valore. Il re dei Vandali Rodagasio che, nel 405 d.C., assediava il castello di Milliano, dove si era rinchiuso il console romano Manlio, fu costretto a ritirarsi dagli sciami di api fatti lanciare, sul suo esercito, dal console. Stessa sorte subirono i portoghesi, guidati da Lupo Barriga, nel tentativo di conquista della città di Tauli, in Mauritania, nonché gli svedesi che, nel 1642, nel corso della guerra dei trent’anni, assediavano la città bavarese di Kissingen, e persino i turchi del sultano Murad, durante l’assedio della città di Stuhlweissenburg. L’unico esempio di contributo delle api alla conquista di una città, con l’impiego balistico di alveari, è quello di San Giovanni d’Agri, a opera del leggendario Riccardo Cuor di Leone che, secondo alcune fonti, prima di arrivare in Terra Santa, per partecipare alla Crociata, imbarcò a Messina numerosi alveari che lanciò contro i Turchi asserragliati nella città. Attualmente le api non vengono impiegate nei campi di battaglia ma spesso soccombono, nei campi coltivati, a causa di invisibili e subdoli aggressori chimici, irrorati sui fiori di piante entomogame coltivate alle quali, con l’impollinazione, assicurano la produzione di frutti e, al contempo, raccolgono nettare e polline necessari all’alveare e … agli apicoltori.
Fig.1. Assedio di San Giovanni d’Acri (1189-1191). (Illustrazione del XIII secolo)
Fig.2. Attività svolte dalle api operaie adulte nel corso della loro vita