In un quadro globale che da oltre un decennio mostra un trend espansivo, sia in termini di consumi che di superfici investite, l’olivicoltura da mensa italiana ha solo in parte colto questa opportunità, lasciando che il mercato interno sia ancora soddisfatto per una quota importante dalle importazioni. Le circa 70.000 tonnellate ogni anno prodotte continuano a provenire soprattutto dalla Sicilia (poco meno del 50% della produzione nazionale) e dalla Puglia (20%), seguite da Calabria, Sardegna e Lazio. Tra i limiti della produzione nazionale rientra l’eterogeneità della materia prima, solo per il 35% proveniente da cultivar da mensa, per la restante parte da numerose varietà a duplice attitudine la cui utilizzazione è estremamente variabile in dipendenza della domanda di mercato e dell’andamento stagionale, spesso decisivo per un efficace controllo della mosca delle olive.
Anche la Sardegna ha partecipato al processo espansivo della filiera “olivo da mensa” e ha utilizzato le provvidenze nazionali e comunitarie per realizzare, negli ultimi 15 anni, circa un migliaio di ettari di oliveti “intensivi”: almeno 280–320 piante per ettaro, presenza dell’impianto di irrigazione, adozione di un ventaglio varietale limitato a 5-6 cultivar tra specializzate da mensa e a duplice attitudine. Il notevole progresso del settore si evidenzia immediatamente confrontando le 600 t di prodotto trasformato nel lontano 1979 con le 3.000 t del 1988 ed infine con le attuali 5.000 tonnellate annualmente immesse sul mercato, in prevalenza di origine regionale.
La produzione sarda, non ha, però, perseguito con sufficiente tenacia ed efficienza la “distinzione” del prodotto e l’utilizzazione di pregevoli varietà locali, spesso a duplice attitudine, come il binomio Nera di Gonnos - Tonda di Cagliari per “le olive verdi” e Tonda di Sassari - Bosana per quelle “nere”. La filiera risulta, infatti, ancora frammentaria e con basse rese, nella prima parte, bisognosa di innovazione e supporto tecnico nelle susseguenti fasi di trasformazione e commercializzazione. In questo quadro deficitario, la
Giornata di Studio del 4 novembre 2011, organizzata dalle sezioni Centro-Ovest e Sud-Ovest dell’Accademia dei Georgofili e dal Dipartimento di Economia e Sistemi Arborei dell’Università, ripropone all’attenzione di politici e amministratori, tecnici e imprenditori agricoli la necessità di un organico programma regionale che affronti il rilancio della coltura in tutta la sua complessità: dalla razionalizzazione della gestione di suolo e chioma in un quadro di sostenibilità ambientale, come oggi richiesto dalla politica comunitaria; all’organizzazione, programmazione e diversificazione delle produzioni alla luce delle più recenti acquisizioni tecnologiche; alla valorizzazione e commercializzazione del prodotto attraverso un’appropriata politica di marketing in difesa della tipicità e dei prezzi.
In tal senso è risultato opportuno il confronto che i diversi relatori hanno sviluppato tra la realtà sarda e quella siciliana e, in particolare, col sistema “Nocellara del Belice” imperniato su circa 14.000 ettari di oliveti, le cui produzioni sono valorizzate dall’omonimo Consorzio di Tutela attraverso due Denominazioni di Origine Protetta (olive da mensa e olio extra vergine), riconoscimento ed elemento di distinzione di cui sono prive le produzioni locali. Interessante anche la strategia siciliana di tutela per il prossimo futuro imperniata sulla nascita del Distretto Olivicolo “Sicilia Terre d'Occidente”, dove un insieme di imprese fra loro integrate da un sistema di relazioni produttive, tecnologiche o di servizio collaborano per favorire lo sviluppo del comparto.