L’interesse nei confronti della «villa comunale» - particolare tipo di giardino pubblico - sta nel fatto che è stato realizzato in tutti i centri abitati italiani, a cavallo tra Ottocento e Novecento e, comunque, in epoca post-unitaria (con caratteri molto simili, con dimensioni comprese - in generale - tra uno e due ettari), sicché è possibile un confronto diretto tra l’uno e l’altro sia in termini di impianto che di specie floristiche utilizzate.
Il giardino e il parco pubblici fanno parte integrante della costruzione della città borghese, attuata in tutta Europa e negli USA nella seconda metà dell’Ottocento con varie funzioni: di decoro e abbellimento, prima di tutto; di transizione tra tessuti urbani di diversa origine storica; di bonifica di aree malsane (acquitrini, discariche, cave) o di aree non adatte all’edificazione, incluse nella espansione delle città.
In Italia, il giardino pubblico ha dimensioni limitate a fronte degli esempi europei o americani. Infatti, la compattezza dei tessuti delle città consolidate e le caratteristiche orografiche dei siti hanno reso parecchio difficile il reperimento - al loro interno o nelle immediatamente vicinanze - delle aree necessarie alla costruzione di giardini molto estesi. Inoltre, la diffusione sul territorio di numerose e importanti città ha impedito la concentrazione, sull’una o sull’altra, degli interessi e delle risorse necessari alla dotazione di grandi parchi in analogia con le capitali europee, anche dopo l’unificazione dello Stato Italiano.
Tali motivi hanno indotto i caratteri peculiari del giardino ottocentesco italiano: di essere poco esteso; di conservare un impianto prospettico; di contenere una modesta quantità di tempietti, ruderi o altri edifici del genere. Ne sono testimoni gli esempi più importanti come la villa reale di Monza di Piermarini e Villoresi; il parco del Pincio e la villa Viridiana a Roma, rispettivamente di Valdier e di Jappelli; la villa Floridiana a Napoli di Niccolini (il Central Park di New York è di 300 ettari).
Analogamente furono costruiti pochi parchi pubblici di cui si ricordano, per memoria, le Cascine di Firenze; la Villa Reale sulla riviera di Chiaia a Napoli; il parco del Valentino a Torino di Bouillett-Deschamp; il parco del Castello di Milano di Alemagna il quale, con i suoi 47 ettari, è uno dei più grandi (il Bois de Boulogne dI Parigi ha una superficie di 870 ettari).
I
cinque esempi siciliani - che fanno parte di questo studio e che sono sufficientemente rappresentativi della tradizione locale - si trovano in piccole città, tranne nel caso di
Palermo; e, pur conservando un impianto basato su assi e avendo molti elementi in comune con analoghi in altre parti di Itali, presentano alcuni caratteri specifici che li radicano a una cultura autoctona, soprattutto in ragione della flora, in prevalenza, esotica.
Sono di dimensioni modeste (quattro non superano l’ettaro, la villa di
Caltagirone – in FOTO - arriva a sette ettari); sono stati impiantati in aree di margine o di risulta (la villa di
Trapani è l’unica a segnare il passaggio tra la parte più antica e quella ottocentesca della città); svolgono, comunque, il compito di ricomporre il tessuto urbano per isolati, essendo in genere circondati da strade (le ville di
Sciacca e
Gela non lo sono perché localizzate su un confine esterno).
La flora, l’elemento singolare delle ville comunali siciliane, trasforma l’impianto per viali e aiuole in radure, cinture e macchie - cioè, nelle strutture proprie del giardino anglosassone - e impedisce, perciò, la formazione di assi ottici su orizzonti lontani, a meno dei casi in cui la villa si trovi alla vista del mare.
Per questo motivo sono state analizzate in particolare - e per confronto diretto tra i cinque giardini - proprio quelle “forme vegetali” eterogenee rispetto al tipico giardino italiano coevo, al fine non solo di indagarne la natura, ma soprattutto per tranne regole e criteri utili per progettare situazioni analoghe in nuovi giardini.
I filari sono formati da alberi con chioma colonnare o espansa - cipresso, pino, leccio e tiglio - accompagnati da arbusti di lauro, ligustro e viburno che li rendono impenetrabili allo sguardo e al cammino.
Le macchie - prevalentemente costituite da ficus con araucarie, casaurine, vari tipi di palme e arbusti - formano veri e propri ambiti separati dal resto del giardino, in cui la profondità dell’ombra è tale da assimilare quello spazio a un luogo “coperto”.
Le radure introducono nel giardino uno spazio, relativamente ampio, circondato da alberi e arbusti: nell’esempio di Gela, la mancanza di arbusti sotto le erythrine e i ficus consente di vedere in trasparenza quanto si trovi al di là del bordo; mentre, in quello di Caltagirone, la cortina di pini lecci e arbusti racchiude una sorta di “piazza” interna di dimensioni cospicue, con l’unico possibile contatto visivo del cielo.