Nel corso degli ultimi sessanta anni le idee sulla sicurezza alimentare cambiano profondamente, drasticamente mutano i problemi d’affrontare, controllare e risolvere; oggi ci troviamo di fronte a nuove paure e incognite, con sfide che attendono d’essere fronteggiate con nuove tecnologie, ma soprattutto con nuove idee. Affermazioni queste che possono sembrare strane o sconcertanti e che per questo hanno bisogno di chiarimenti partendo dalla distinzione tra
sicurezza acuta e
sicurezza cronica.
Ben chiara a tutti, fin dal più lontano passato, è l’idea che un cibo infetto, avariato o improprio faccia male con sintomi ed esiti anche mortali, che compaiono in poche ore o giorni, e questi disturbi acuti sono affrontati e risolti con mezzi appropriati sempre più precisi (controlli, trattamenti termici, date di scadenza ecc.). Molto più recente e quasi contemporanea è l’idea che alimenti che non provocano danni immediati o acuti possano invece provocare danni anche gravi con una loro assunzione prolungata o cronica. Punto di partenza della necessità di una sicurezza alimentare cronica può essere individuato nella enunciazione della Dieta Mediterranea che mette in luce come gli alimenti devono essere valutati per il loro effetto in alimentazioni prolungate, non solo di anni, ma di decenni se non di tutta la vita di una persona o di una popolazione, soprattutto se la longevità aumenta anche per la diminuzione se non la scomparsa di cause di malattia o morte acute. Di fronte alla necessità d’affrontare lo studio della sicurezza alimentare cronica, gli studi sugli animali si dimostrano scarsamente efficaci, per i diversi metabolismi, ma soprattutto per la diversa lunghezza della loro vita. Di conseguenza si sviluppano sistemi di ricerca epidemiologica sulle popolazioni umane credendo di ottenere risultati capaci di dare risposte efficaci per malattie croniche che sfociano anche in eventi acuti come infarti miocardici, ictus ecc. e altre patologie che sono attribuite a specifici alimenti somministrati cronicamente e privi di effetti negativi acuti. Su questa linea si giunge a mettere in guardia, se non a criminalizzare anche alimenti tradizionali quali il burro e altri grassi, lo zucchero e talune carni.
Le sempre più raffinate ricerche epidemiologiche si dimostrano tuttavia insufficienti per ottenere chiari risultati, perché forniscono esiti di difficile e univoca interpretazione, che nella comunicazione si tenta di superare con la locuzione non scientifica di “paradosso”. Il più noto tra i paradossi alimentari è il
paradosso francese secondo il quale i francesi non risentirebbero degli effetti cronici di acidi grassi saturi alimentari per la compre-senza nella loro dieta di altri componenti, nel caso specifico il vino, preferibilmente rosso, anche se le quantità di vino non si dimostrano sufficienti per i risultati messi in evidenza dall’epidemiologia. I paradossi sono tuttavia importanti perché nella ricerca sulla sicurezza alimentare cronica fanno entrare in campo due nuovi attori: l’interazione tra diversi elementi e cioè la dieta alimentare nel suo complesso e la genetica delle popolazioni. Questi nuovi attori si dimostrano particolarmente importanti quando si affronta la sicurezza alimentare di una patologia che si sviluppa particolarmente nella terza età: tumori, cancri e neoplasie.
Rilevante in questi ultimi anni è stato e continua a essere l’interesse per la sicurezza alimentare cronica nei riguardi dei tumori, con particolare attenzione alle popolazioni con buon livello economico nelle quali vi è un elevato consumo di carne associato a una lunga aspettativa di vita, ma anche a una cospicua presenza di tumori. Attraverso una semplicistica e superficiale comparazione, i consumi di carne (chilogrammi annui) e il numero di tumori al colon-retto (numero per centomila abitanti) sono stati collegati come causa ed effetto, giungendo alla conclusione che la carne causa i tumori, raccomandando un uso contenuto di carne, soprattutto di carne rossa. Una conclusione di causa e effetto corretta? Allora perché in Italia, Francia e Spagna si mangiano quantità molto diverse di carne mentre l’incidenza del tumore è simile, anzi l’Italia è il paese che ha l’incidenza minore? Un altro misterioso paradosso della carne cancerogena? Niente di tutto questo, perché l’alimentazione è un fenomeno molto complesso e bisogna considerarla nel suo insieme. Infatti un esame accurato dei dati mostra che il rischio (non la certezza) di sviluppare un cancro del colon-retto aumenta promo-zionalmente al consumo di carni rosse, ma al tempo stesso diminuisce con l’ingestione di cereali integrali e, in misura minore, anche di latticini, concludendo che i cereali integrali e latte il hanno un ruolo protettivo nei confronti dello sviluppo di questa tipologia di neoplasia, mentre le verdure e il pesce hanno effetti meno convincenti. Da qui le diversità nelle popolazioni che hanno diete e stili alimentari differenti e lo spostamento dell’attenzione dai singoli alimenti alla dieta nel suo complesso.
Oggi ci stiamo rendendo conto che l’alimentazione è costruita su complessi equilibri tra i suoi numerosissimi componenti, della necessità di nuovi metodi d’indagine e soprattutto di grandi precauzioni nel propagare affermazioni più o meno apodittiche che questo cibo fa male o quest’altro fa bene, perché ogni alimento va commisurato e valutato nell’interno della dieta e dello stile di vita nel quale è utilizzato, senza dimenticare la genetica delle popolazioni. Molto anzi moltissimo resta da indagare e scoprire sui rapporti e sugli equilibri alimentari, sulla moderna alimentazione ma anche sulle condizioni che nel passato hanno portato a stabilire regole tradizionali nelle coltivazioni agricole, nell'alimentazione delle diverse popolazioni e nelle loro diversità in ogni parte del mondo, anche per dare motivazioni biologiche a molte tradizioni alimentari. Nuove sfide sono ancora da affrontare e da risolvere e tra questi che si possano stabilire paradigmi di ricerca sulla sicurezza alimentare cronica nei riguardi delle emergenti e sempre più preoccupanti malattie neurodegenerative, dall’Alzheimer al Parkinson e alla demenza senile e chi più ne ha più ne metta!