Strano mondo, il nostro, almeno quello che viene fuori dall’ultimo rapporto del
Worldwatch Institute: lo State of the World 2011, dedicato quest’anno a Nutrire il Pianeta. Un mondo ricco e nello stesso tempo povero, con un sistema agroalimentare mai così squilibrato e generatore di impatti negativi. Da una parte risulta che la produzione agricola mondiale potrebbe nutrire abbondantemente il doppio della popolazione attuale del pianeta. Dall’altra emerge che quasi la metà del cibo nella lunga filiera agroalimentare mondiale si perde, viene sprecata: fosse possibile recuperarla basterebbe per nutrire tre miliardi di individui. Da una parte il mondo conta un miliardo di affamati fra denutriti e sottonutriti, dall’altra gli obesi hanno ormai raggiunto numeri simili. Due miliardi di persone risultano dunque malnutrite: mangiano troppo o troppo poco con conseguenti, gravi, problemi dal punto di vista economico, sociale, sanitario. Ma sicurezza e
insicurezza alimentare convivono e talvolta si incrociano pericolosamente in tutto il pianeta ribaltando il nostro tradizionale immaginario: i sottonutriti aumentano nei paesi cosiddetti ricchi, gli ipernutriti crescono anche nei paesi poveri. Da una parte osserviamo, soprattutto nelle economie industrializzate, un livello tanto elevato quanto inutile di cementificazione e conseguente perdita di superficie agricola utilizzabile: la quantità di terreno produttivo pro capite (biocapacità) è attualmente dimezzata rispetto ai livelli del 1961. Dall’altra assistiamo all’accaparramento delle terre più fertili nei paesi in via di sviluppo, il cosiddetto
land grabbing,da parte di molti paesi emergenti e in forte crescita (Cina in testa): una sorta di neocolonialismo agricolo e alimentare.
Da una parte il progredire della desertificazione altera le produzioni in alcune parti del mondo, dall’altra le alluvioni devastano altre produzioni agricole: sono gli stessi segnali evidentemente
Dei cambiamenti climatici in corso e dei relativi effetti sulle produzioni e sui mercati agroalimentari. Da una parte si registra l’estrema volatilità dei prezzi alimentari che continuano a salire e scendere con relativi impatti sui produttori, colpendo soprattutto le fasce più vulnerabili di agricoltori nelle aree rurali dei paesi in via di sviluppo (ma non solo). Dall’altra questa altalena si trasmette con particolare violenza sulle fasce più deboli delle popolazioni urbane, peggiorando ulteriormente una situazione già grave di crisi che si traduce in devastanti sconvolgimenti sociali: quanto è successo nei paesi del Nord Africa durante le principali crisi dei prezzi nel 2007/2008 e nel 2010/2011 rende evidente la questione.
Insomma potremmo andare avanti evidenziando il quadro devastante descritto nel rapporto – la
sfida di garantire l’alimentazione ai 9 miliardi di essere umani prevista per il 2050 sembrerebbe una mission impossible. Eppure, dal lavoro svolto sul campo dai ricercatori del prestigioso istituto fondato da Lester Brown nel 1974, emerge una realtà a dir poco entusiasmante. Una nuova Rivoluzione Verde che sta partendo dal basso e dai paesi più poveri. Siamo soliti pensare alle innovazioni in termini di motori di ricerca, videogiochi o social network. Invece gli agricoltori africani dimostrano – ma il rapporto contiene un lungo repertorio di soluzioni che vengono sperimentate e applicate a tutte le latitudini per incrementare le rese delle colture svincolandosi dai combustibili fossili, migliorando la lavorazione e lo stoccaggio dei cibi, tutelando l’ambiente e le comunità locali che a innovare sono le comunità più povere del pianeta e che ciò potrebbe avere un impatto sulla popolazione globale maggiore di gran parte delle innovazioni ad alta tecnologia. Se anche una piccola parte delle risorse ora utilizzate negli allevamenti industriali statunitensi o nelle piantagioni di soia brasiliane fosse investita in piccole aziende agricole
innovative, il nostro Pianeta probabilmente non farebbe così fatica a raggiungere l’obiettivo stabilito dall’Onu di dimezzare la fare nel mondo entro il 2015. Che è domani.
(da Terra e Vita n° 15/2011)
(foto: archivio dei Georgofili)
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