All’inizio dello scorso anno, il bruco della lafigma, una falena, (…), originario del continente americano, ha fatto la sua comparsa in Nigeria. Si è rapidamente diffuso in gran parte dell'Africa. Una notizia abbastanza preoccupante, che minaccia di annullare alcuni degli incredibili miglioramenti negli standard di vita africani degli ultimi due decenni. Molti africani fanno affidamento sul mais come fonte di cibo, ma il mais è proprio il pasto preferito di questi bruchi (…). Fortunatamente, esiste una difesa a portata di mano. Il mais Bt, coltivato nel continente americano da anni, è resistente agli insetti. Le iniziali indicano il batterio che produce una proteina tossica per gli insetti ma non per le persone. (…) Tuttavia, influenzata dagli ambientalisti europei, la maggior parte dei paesi africani vieta la coltivazione di piante geneticamente modificate. È un peccato perché, a meno che non cambino rapidamente atteggiamento, rischiano di dover utilizzare molti più pesticidi, che i piccoli agricoltori non possono permettersi, e che comportano rischi ambientali e di sicurezza, o di andare incontro a carestie, da tamponare con costose importazioni di cibo. Fortunatamente, a poco a poco l'Africa sta cambiando idea sulle colture biotech, anche se ad approvare il mais Bt è stato unicamente il Sudafrica. Nigeria, Uganda, Etiopia e Kenya stanno lentamente cambiando la loro legislazione. Ma i gruppi di pressione ambientalisti portano avanti una campagna volta a minarne gli sforzi, mentre i burocrati, con i loro imperi da costruire, continuano a piazzare ostacoli sulla via del cambiamento. Alcuni anni fa ho parlato con i leader di una grande organizzazione benefica che lavorava con gli agricoltori africani e ho chiesto loro perché non si erano esposti a sostegno delle biotecnologie. Mi hanno risposto che non osavano farlo per paura di ritorsioni da parte dei grandi gruppi di pressione ambientalisti, come Greenpeace, per i quali l'opposizione alla biotecnologia è una questione ideologica quando si raccolgono fondi in Europa. (…) Dei due miliardi di persone che si saranno aggiunte alla popolazione mondiale entro il 2050, più della metà saranno africani. Eppure, è possibile nutrire la crescente popolazione del continente, in gran parte grazie al lavoro di aziende agricole africane. E, come l’Asia prima di lei, l'Africa può inizialmente prosperare grazie all'agricoltura più che con ogni altra industria, ma solo se avrà luogo una rivoluzione verde e una modernizzazione agricola paragonabile a quanto accaduto in Asia negli anni '60. La resa media di un raccolto di mais africano è meno di un quarto di quella di un raccolto nordamericano, anche prima dell'effetto del bruco della lafigma. Ciò è in gran parte dovuto alla mancanza di fertilizzanti, pesticidi, semi ibridi e biotecnologie e alle frequenti siccità. Mi è stato riferito che unicamente con l’uso dei semi ibridi, prodotti con metodi convenzionali, è possibile migliorare la resa dal 20% al 30%. Le varietà resistenti alla siccità, anch'esse prodotte in modo convenzionale, possono raddoppiare la resa. Ma nessuno dei due può fare nulla contro il bruco della lafigma. La African Agricultural Technology Foundation sta coordinando un partenariato pubblico-privato chiamato Water Efficient Maize for Africa (Wema). Il suo scopo è quello di sviluppare mais resistente alla siccità e agli insetti, utilizzando sia le biotecnologie che le moderne tecniche di riproduzione convenzionale. Il suo primo prodotto, un seme ibrido di mais bianco resistente alla siccità, è stato ricevuto dagli agricoltori kenioti quattro anni fa. Il risultato è stato un raccolto di 4,5 tonnellate per ettaro, a fronte delle precedenti 1,8 tonnellate. Il progetto Wema ha il supporto dell'industria affinché renda le varietà disponibili gratuitamente ai piccoli agricoltori dell'Africa sub-sahariana, attraverso società di sementi africane. La Monsanto, ad esempio, sta cedendo la sua proprietà intellettuale nella regione. I suoi critici però affermano che la Monsanto spera che gli africani usino i suoi semi ibridi, così che un giorno diventino abbastanza ricchi da poterli comprare. Sì, e cosa c’è di sbagliato in questo? Supponiamo che Wema porti molti piccoli agricoltori africani a guadagnare a sufficienza da potersi permettere di acquistare un trattore, di mandare a scuola il figlio e di andare al mercato a cercare i semi migliori, e fertilizzante a sufficienza; dove sarebbe il problema? D’accordo, diranno i critici, ma in Brasile il bruco della lafigma sta già sviluppando resistenza alla tossina Bt. È vero, ma questo è vero anche per la resistenza agli insetticidi. L’agricoltura è una corsa agli armamenti contro le altre specie, e le tecnologie più recenti dovrebbero facilmente mantenerci un passo avanti, a patto che non glielo impediamo. La futura tecnologia che aiuterà l’agricoltura sarà l’editing genetico, diverso dalla tecnica transgenica con cui è stato prodotto il mais Bt e che non comporta l’introduzione di DNA estraneo, ciò a cui i critici si dicono più contrari. Un miglioramento dei suoi geni può rendere il mais resistente alla necrosi letale, una malattia virale che danneggia le rese in alcune regioni africane. Un’opportunità per il Regno Unito; una volta liberi dal pericoloso principio di precauzione europeo, gli scienziati britannici potrebbero trovarsi in una posizione ideale per sostenere i loro colleghi in Africa. (…)
Da: “The Times” (Regno Unito) 20 novembre 2017, in Agrapress rassegna stampa estera n° 1227 del 22/11/2017