Era l’8 agosto scorso quando il ministero delle Politiche agricole annunciava: “Si è tenuto il tavolo di coordinamento ortofrutta per affrontare le problematiche relative al settore ed in particolare la situazione di crisi derivante dal calo delle quotazioni di alcuni prodotti quali albicocche, pesche e nettarine. Al Tavolo di coordinamento il viceministro Olivero ha annunciato altresì che il ministro Martina intende emanare, nel mese di settembre, il Decreto per la costituzione del Tavolo Ortofrutticolo Nazionale”. Da settembre in poi si sono riuniti vari tavoli al ministero: la filiera legno, il pomodoro… ma dell’ortofrutta si sono perse le tracce. Di questa incredibile, indecente latitanza non si possono accusare le rappresentanze del mondo produttivo privato e cooperativo. Che avevano messo a punto alcune priorità da portare su questo benedetto Tavolo ortofrutticolo nazionale: dal rilancio dell’export, alla necessità di maggiori controlli sull’import, dal catasto delle superfici frutticole alla trasformazione industriale per indigenti. Sembrava l’occasione per iniziare davvero un discorso serio, di sistema, sul ‘che fare’ per un settore che ormai da diversi anni va incontro a crisi cicliche di mercato e di prezzi e dove l’unico intervento correttivo è quello affidato alla natura: se si produce poco, i prezzi salgono. Se si produce troppo, è il disastro. Punto. Pare che recentemente nel corso di una riunione riservata al ministero alcuni esponenti di primo piano del settore ortofrutticolo, che chiedevano lumi sul Tavolo, si siano sentiti rispondere: “Ormai siamo a fine legislatura…”. Come dire: siamo fuori tempo massimo, ne riparliamo nel 2018; questa la sostanza dell’atteggiamento ministeriale. Di fronte alla quale è legittimo trarre alcune conclusioni: che l’ortofrutta è figlia di un dio minore; che i tempi della politica non sono, e anzi confliggono, con quelli delle imprese; che di questo ministero si potrebbe tranquillamente fare a meno, visto che i suoi massimi dirigenti (a partire dal ministro Martina che fa a tempo pieno il vicesegretario del Pd) si occupano di altro. Verità che il mondo produttivo sperimenta ogni giorno sulla sua pelle, e che quindi non devono destare meraviglia. Se non fosse che la stessa politica lancia proclami tipo: “obiettivo 50 miliardi di export entro il 2020”, “agroalimentare volano della crescita del Paese”, e altre amenità del genere. Quando dalle parole si passa ai fatti, invece, ormai collezioniamo solo figuracce, come l’incapacità di intercettare i fondi europei per la promozione agroalimentare 2018-2020 dove a noi sono rimaste solo le briciole e l’ortofrutta è rimasta a secco, senza un euro. Un fronte, quello comunitario, dove il ministero avrebbe potuto e dovuto giocare come lobby a favore dell’Italia e dove invece abbiamo fatto l’ennesimo flop. Siamo alle solite: le imprese fanno il loro dovere e si arrangiano come possono, la politica chiacchiera a vuoto. Ricordiamocelo, quando andremo a votare.
Da: Corriere Ortofrutticolo, 1/12/2017