Riprendiamoci la terra. È la scelta di molti ragazzi italiani. Non è una rivoluzione. Né una ribellione, come furono le comuni degli anni ‘70, quando giovani di buona famiglia se ne andavano in campagna, finendo il più delle volte per tornare in città. È piuttosto la consapevolezza di quanto la terra sia importante e, se ben lavorata, anche la promessa di un futuro.
Carlo Maria Recchia, cresciuto a Formigara (Cremona), aveva tutte le carte in regola per diventare ingegnere, informatico, medico. Madre insegnante e padre chimico, la sua passione però virava altrove. Finita la scuola comprò 40 semi di mais nero, coltura in via di estinzione, alla Banca dei semi. Li piantò nell'orto della vicina, che gli fece spazio. «Li ho visti crescere — racconta — e il loro nero violaceo mi convinse che il mio futuro era in quei chicchi con alte proprietà antiossidanti». Ha preso in affitto 200 metri di terreno e ha iniziato. Nel 2013 ha aperto la partita Iva e ora la sua impresa, poco meno di mezzo ettaro e un mulino a pietra produce farina e birra. «Commercializzarli — aggiunge Carlo — non è stato difficile. Il raccolto è già tutto venduto ai ristoranti della zona». Oggi è l'unico imprenditore agricolo in Europa a produrre quel tipo di mais.
Carlo è tra i giovani che attendono il bando per la vendita delle terre pubbliche che il Ministero delle Politiche agricole farà uscire ai primi di dicembre. Ottomila ettari di terreni pubblici, oggi in mano a Ismea, che verranno ceduti a giovani sotto i 40 anni. Terra coltivata, a pascolo e boschiva. Chi se la aggiudicherà avrà accesso a prestiti a tassi agevolati. Per vedere gli appezzamenti e cosa c'è sopra basta andare sul sito della Banca della Terra del ministero. E le visualizzazioni sono state 150 mila in poche settimane.
Un bando che aspetta anche Giuseppe Savino, figlio di imprenditori agricoli di Foggia che oltre a condurre l'azienda di famiglia sta coinvolgendo i giovani a rimanere sui campi. Un insegnamento di Don Michele De Paolis, che prima di morire disse ai suoi ragazzi «unitevi e occupatevi della vostra terra, non andate via». Giuseppe lo sta facendo. Fa incontrare a cena tra loro i contadini, «diffidenti per natura — racconta — che hanno problemi a passare il bastone del comando ai figli e anzi preferiscono vederli dietro una scrivania, che non si fidano delle innovazioni». E invece «solo insieme, con tante professionalità si può fare qualcosa, si può cambiare il modo di fare agricoltura rendendola più moderna. Ci sono ragazzi che sono andati a studiare fuori e che ora stanno tornando».
Alex Vantini, 26 anni, è alla terza generazione. La vecchia cascina del nonno è una piccola impresa di 25 ettari alle porte di Verona con alberi di kiwi e albicocche. Con il cugino Mattia qualche anno fa sì è spinto in città per aprire un negozio a chilometro zero. È andata bene. Ma ora vuole tornare sui campi. «Parteciperemo al bando, certo, tutto dipende dal tipo di terreno e da dov'è perché la terra non è tutta uguale».
Da: Repubblica.it, 19/11/2017