E’ ben noto che «il diritto al cibo» resta una semplice affermazione ideologica se non la si correla al dovere di produrlo! Nei prossimi trent’anni per tenere il passo con la domanda di alimenti bisognerebbe produrre il 70-100% in più di cibo! Non vi è attività umana che non abbia impatto sull’ambiente. Si tratta di un sistema complesso caratterizzato tra l’altro dai consumi di energia, dalle emissioni in atmosfera di gas serra, dalle variazioni climatiche, dalla utilizzazione di suolo, acqua, nutrienti … e via dicendo.
Se un battito d’ali di una farfalla in Brasile, a seguito di una catena di eventi, può provocare un tornado nel Texas chissà cosa può provocare anche il più piccolo e insignificante dei nostri gesti. E’ il cosiddetto “effetto farfalla” che Edward Lorenz, pioniere della teoria del caos, definì durante una sua conferenza tenuta nel 1979. In altri termini piccole variazioni nelle condizioni iniziali di un sistema possono produrre grandi variazioni nel comportamento a lungo termine.
Al 2050 la popolazione globale è proiettata verso i 9 miliardi e più di persone. Da qui nascono due inderogabili interrogativi riguardanti, il primo la capacità del pianeta di sostenere questa tendenza, il secondo la disponibilità di risorse per tutti. Consci del fatto che negli anni ’60 eravamo circa 3,5 miliardi, che all’inizio del nuovo secolo siamo passati da 6 a 6,7 miliardi nel 2015, la FAO chiede di aumentare le produzioni primarie diminuendo l’impatto sull’ambiente.
Si tratta di agire per tempo in un ambito caratterizzato da molteplici problematiche, in particolare una progressiva diminuzione delle risorse primarie (acqua, suolo, prodotti petroliferi…) ed energetiche in uso, tenuto conto che i terreni agricoli sono il 10% delle terre emerse. Tutto questo a fronte poi del rincaro dei prezzi dei fattori produttivi (specificamente la logistica), di una diminuzione dei prezzi di vendita dei prodotti agricoli e zootecnici e infine di un continuo ed inarrestabile mutamento del clima.
L’impatto ambientale ha raggiunto proporzioni tali da definire come “antropocene” l’attuale era geologica in cui l’uomo e le sue attività sono ritenute le principali cause delle variazioni ambientali e climatiche (Paul Jozef Crutzen, premio Nobel, 1995).
Per quanto riguarda il settore primario si è passati da una agricoltura di tipo convenzionale ad una definita “agricoltura di precisione e/o a. digitale”. Applicando delle nuove regole di comportamento l’impatto raggiungibile potrebbe nettamente ridursi. Ad esempio la realizzazione di un’agricoltura sito-specifica (meccatronica), di tecniche agronomiche “
on the go”, l’uso di indicatori ottici (
ndvi) in relazione allo stato nutrizionale delle colture, l’uso di modelli previsionali per il pilotaggio dell’ultima dose di N, l’uso di tecnologie NIRS montate sulla mietitrebbia alla raccolta dei prodotti, le restituzioni dei nutrienti (concimazione a dose variabile) e infine una raccolta di precisione consentono già oggi di diminuire l’impatto sull’ambiente.
Esiste una stretta relazione tra tipo di produzione alimentare e consumo di territorio. La produzione di alimenti di origine animale richiede un consumo agricolo di 3-4 volte maggiore rispetto a quello richiesto per la produzione di alimenti vegetali di pari “valore nutritivo”. Le abitudini alimentari delle popolazioni e dei singoli dipendono da molteplici e inveterati fattori (geografici, climatici, culturali, ideologici, preferenze personali…) che sono difficili da modificare ma che vale la pena riconsiderare. La dieta abituale, soprattutto nelle popolazioni occidentali, è in genere adeguata o più che sufficiente per quanto riguarda l’apporto di substrati essenziali (aminoacidi, acidi grassi, vitamine, oligoelementi, sali minerali). La componente proteica, soprattutto di proteine ad alto valore biologico, è di particolare importanza, perché garantisce una normale crescita nelle fasi dello sviluppo, quali una normale composizione e trofismo corporei nella maturità e un adeguato apporto nelle condizioni di aumentato fabbisogno.
La componente proteica della dieta può essere fornita sia dal mondo animale (carne, pesce, latticini, uova) che vegetale (soprattutto legumi e altre piante alimentari). Le proteine animali sono storicamente e culturalmente considerate alimenti “nobili”, di particolare qualità ed appetenza, particolarmente efficaci come fonte “concentrata” di proteine di elevato valore biologico. Nella dieta abituale ed anche in situazioni particolari in cui i fabbisogni aumentano, l’apporto proteico usuale può essere addirittura in eccesso rispetto ai fabbisogni minimi/essenziali. Diete prevalentemente o esclusivamente basate su alimenti di origine vegetale sono presenti in molte culture ma anche adottate liberamente da singoli individui ovunque. Tuttavia, qualora fosse opportuno ridurre il consumo di suolo per produzioni alimentari, uno spostamento dall’abituale dieta “libera” ad una dieta più ricca di alimenti di origine vegetale potrebbe essere proposto alle popolazioni.
Una giornata di studio svoltasi a Firenze verso la fine del 2016 ha offerto alcuni spunti quali-quantitativi sugli aspetti sopra indicati, come i fabbisogni minimi essenziali di proteine e di aminoacidi, il consumo corrente di proteine di origine animale e vegetale, i “surplus” nutrizionali proteici abituali, le potenzialità offerte dalle proteine vegetali e i loro riflessi sulla salute umana. Tali concetti sono stati posti in relazione con il “consumo ambientale” attuale unitamente a quello ottimale o minimo-potenziale, con le possibili alternative nutrizionali offerte dal mondo vegetale ed il conseguente “risparmio ambientale”. Sono stati presi in considerazione alcuni esempi pratici riguardanti le tradizioni culturali e le possibilità di sviluppo di alternative alimentari maggiormente basate su alimenti di origine vegetale.
L'Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura ha recentemente stimato che al giorno d'oggi ~ il 15% della popolazione mondiale è cronicamente affamato e che ancora di più soffre di inadeguatezza nutrizionale. Circa un miliardo di persone affrontano un'insufficienza proteica che causa una varietà di carenze nutrizionali quali ad esempio una crescita compromessa, una cattiva salute, ecc. In prospettiva, il 70-100% di cibo in più rispetto a quello prodotto oggi sarà richiesto entro il 2050. A fronte di un aumento così drammatico, la domanda di terra arabile accanto alla necessità di una maggiore efficienza del sistema di produzione alimentare e/o una riconsiderazione delle abitudini alimentari nella prospettiva dei requisiti umani, sono attese nell’immediato futuro.
A questo proposito, l'impronta ambientale della produzione alimentare animale è considerata ben superiore rispetto a quella delle coltivazioni vegetali. Pertanto, la scelta tra dieta animale e vegetariana può avere un impatto ambientale rilevante. Nel fare questi confronti, tuttavia, un problema spesso trascurato è il valore nutrizionale degli alimenti. Le stime precedenti sull'impronta ambientale dei nutrienti erano state prevalentemente basate sul peso grezzo alimentare o sul contenuto calorico, senza considerare le esigenze umane. Inoltre, il contenuto proteico totale dei vari alimenti è stato effettivamente considerato, ma non i loro valori nutrizionali in termini di aminoacidi essenziali (EAA). Poiché questi componenti sono i parametri fondamentali nella valutazione della qualità alimentare, l'impronta ambientale espressa sia in termini di utilizzazione del suolo per la produzione che come emissioni di gas ad effetto serra (GHGE) di alcuni alimenti animali e vegetali possono essere rivalutati sulla base dei loro contenuti di EAA rispetto a quelli umani richiesti.
Le fonti di proteine possono derivare da alimenti sia animali che vegetali. In linea di massima, il valore nutritivo delle proteine vegetali è inferiore a quelle animali, perché la prima fonte ha un contenuto insufficiente e/o squilibrato di EAA. Pertanto potrebbe essere un po’ più difficile garantire la quantità minima di tutti gli EAA utilizzando solo l’alimentazione vegetale, anziché integrata con quella animale, oppure solo animale. In altre parole, un individuo avrebbe bisogno di assumere più proteine vegetali per ottenere lo stesso livello nutrizionale di quello offerto dagli animali. Dato che la produzione di proteine di una delle due fonti presenta un'impronta ambientale rilevante e differente, il consumo e/o la progettazione di diete adeguate nella presenza di proteine dietetiche e negli EAA, ma derivanti da fonti diverse, conservano un'importante impronta ecologica. La produzione di proteine animali di alta qualità, in quantità sufficienti a corrispondere alle dosi giornaliere raccomandate di tutti gli EAA, richiederebbe un utilizzo di terreno e un GHGE circa uguale, maggiore o minore rispetto a quello necessario per produrre proteine vegetali, ad eccezione della soia, che possiede l'impronta più ridotta grazie al suo elevato contenuto proteico ben bilanciato fra i vari aminoacidi.
In conclusione, nei riguardi dell'impronta ambientale, questo nuovo approccio riduce il concetto comune di un grande vantaggio delle colture rispetto alla produzione di alimenti animali, quando i requisiti umani degli EAA vengano utilizzati come riferimento.