Facendo seguito a quanto riportato nella
prima nota, relativamente alla sperimentazione condotta nel Metapontino (TA), di confronto fra tre metodi irrigui su pomodoro da industria, i risultati produttivi ottenuti, oltre ad evidenziare le maggiori produzioni realizzate con l’irrigazione a goccia rispetto a quelle riscontrate con l’aspersione e l’infiltrazione laterale da solchi, metterebbero in evidenza: a) la maggiore efficienza distributiva dell’acqua con l’irrigazione a goccia rispetto all’aspersione ed all’infiltrazione laterale da solchi; b) l’importanza della corretta definizione, per l’irrigazione a goccia, del turno irriguo e del volume specifico di adacquamento al fine del raggiungimento di elevati valori di efficienza distributiva e di efficacia produttiva dell’acqua e di risparmi idrici.
I metodi irrigui localizzati, inoltre, permettendo di effettuare la fertirrigazione agevolmente e con elevata efficienza distributiva, consentono di apportare tempestivamente alla coltura elementi nutritivi durante fasi fonologiche critiche, con conseguente elevata efficacia produttiva della fertilizzazione, quindi con risparmi di fertilizzanti, e valorizzazione dell’acqua irrigua. E’ noto, infatti, che la risposta produttiva delle colture all’irrigazione aumenta con l’aumentare della fertilità del terreno, a dimostrazione che quando l’acqua non costituisce fattore limitante della produzione lo possono essere altri fattori, quali il contenuto in nutrienti del terreno e/o altri ancora.
L’irrigazione a goccia, però, pur consentendo di eliminare quasi del tutto le perdite di acqua lungo il percorso della rete idrica aziendale, di adduzione e di distribuzione, può dare luogo anche a bassi valori di efficienza distributiva dell’acqua se l’impianto irriguo non è progettato correttamente dal punto di vista idraulico, tale da evitare eccessive differenze di pressione idraulica tra punti estremi delle ali gocciolanti, e se le variabili irrigue ( turni irrigui e volumi specifici di adacquamento) non sono adeguate alla capacità di ritenzione idrica del terreno ed alle caratteristiche della coltura, in particolare alla profondità dell’ apparato radicale. Dal punto di vista idraulico alcuni inconvenienti possono essere ovviati con l’adozione di gocciolatoi auto-compensanti, oltre che con altri accorgimenti
Nella convinzione che in terreni sabbiosi, o comunque a bassa capacità di ritenzione idrica, sono necessari volumi specifici stagionali di irrigazione più elevati rispetto a quelli dei terreni argillosi, nella pratica spesso sono adottati turni irrigui relativamente brevi e volumi specifici di adacquamento abbondanti, comunque superiori a quelli occorrenti per umettare il terreno fino alla profondità massima delle radici. Comportando ciò perdite per percolazione profonda sia di acqua e sia di sostanze nutritive, dando luogo a fenomeni d’inquinamento delle falde ed a bassi valori di efficienza distributiva dell’acqua e dei fertilizzanti. Nella pratica, inoltre, è frequente osservare colture irrigate con il metodo a goccia sofferenti per fenomeni di asfissia radicale dovuti ad eccessi di acqua irrigua. Gli operatori agricoli, infatti, sono portati a stabilire turni irrigui e volumi di adacquamento empiricamente, spesso con dimensionamento errato delle due variabili, ed a valutare il volume di adacquamento somministrato osservando, a fine adacquata, l’ampiezza del terreno bagnato in superficie, non considerando, invece, la diffusione dell’acqua negli strati sottosuperficiali. Con l’irrigazione a goccia, poiché l’acqua si diffonde più in profondità che in superficie, non è possibile valutare agevolmente il volume di adacquamento facendo riferimento solo all’ampiezza del terreno bagnato in superficie.
Con i metodi irrigui localizzati, come quello a goccia, in effetti la definizione del momento dell’intervento irriguo, ossia del turno irriguo, e del volume specifico di adacquamento è molto più complessa di quanto si possa pensare, in quanto è difficilmente definibile il volume di terreno umettato da ciascun erogatore o gocciolatoio e la riserva idrica facilmente utilizzabile da tale volume, di conseguenza risulta problematico definire le due variabili. Pertanto con questi metodi irrigui per quantificare le due variabili si è costretti a ricorrere ad assunzioni o valutazioni il più realistiche possibili, con il rischio di errori, specialmente se le assunzioni sono prettamente empiriche.
Tuttavia, anche con i metodi irrigui localizzati è possibile stabilire il volume specifico di adacquamento ed il momento dell’intervento irriguo con obiettività facendo ricorso, rispettivamente, a) al monitoraggio dello stato idrico del terreno umettato da uno o più erogatori o gocciolatoi, con strumentazioni diverse oggi disponili, al fine di verificare l’adeguatezza dei volumi specifici di adacquamento somministrati e, successivamente all’adacquata, l’evoluzione dello stato idrico del terreno umettato, e b) al criterio del bilancio idrico con il metodo evapotraspirometrico, al fine di valutare il momento in cui si esaurisce l’acqua facilmente utilizzabile nel volume di terreno umettato, ossia per stabilire il turno irriguo. Per la taratura del metodo evapotraspirometrico, in una data situazione pedologica, colturale ed ambientale, è di grande aiuto rilevare, almeno all’inizio della stagione irrigua o dell’utilizzo del metodo irriguo a goccia, l’evoluzione dello stato idrico del terreno umettato successivamente all’adacquata.
In definitiva con i metodi irrigui localizzati (a goccia, a zampillo, a spruzzo, ecc.), pur potendo realizzare valori elevati di efficienza distributiva dell’acqua, non è dato per scontato che nella pratica lo siano. Come già accennato, per il raggiungimento di tale obiettivo è necessario soddisfare alcune condizioni fondamentali: realizzare impianti corretti dal punto di vista idraulico; dimensionare le variabili irrigue (volume specifico di adacquamento e turno irriguo) adeguate alle caratteristiche idrologiche dei terreni ed allo sviluppo radicale delle colture.
(Questo intervento segue l’articolo pubblicato in data 20/9/2017