Superate le paure dell’Anno Mille, come mangiavano i signori italiani nell’autunno dorato del Medioevo? In questo periodo in Italia sorgono e si sviluppano importanti rinnovamenti nell’ordinamento sociale con i Comuni, nella religione con Francesco d’Assisi e gli ordini mendicanti, in pittura con Giotto e la sua scuola, nella lingua con il passaggio dal latino al Dolce Stil Nuovo e soprattutto con Dante, Boccaccio e Petrarca. Anche la cucina e la gastronomia non stanno ferme e un ruolo importante ha Federico II, come testimoniano due libri che a lui fanno capo.
Federico Ruggero della nobile famiglia degli Hohenstaufen nasce nel 1194 a Jesi sotto una sontuosa tenda, diviene noto come Federico II e come Stupor Mundi o meraviglia del mondo. Federico II è sregolato per i piaceri sessuali, ama le feste sfarzose, ma a tavola pare sobrio, misurato e un salutista attento. Dai documenti che possediamo, nella sua tavola si fa largo uso di brodo di mandorle, riso, molteplici salse e molte spezie: pepe, cannella, noce moscata, zenzero, garofano, zafferano e lui stesso si diletta di sperimentazioni culinarie, ma non ricerca cuochi arabi. Federico nel corso della sua vita, con la sua corte percorre l’Italia vivendo sotto sontuose tende e conoscendo i cibi e le cucine locali.
Due sono i libri di cucina attribuiti all’opera di Federico II. Il Meridionale, datato attorno al 1240, così definito perché scritto in una lingua volgare che ne denota un’origine nelle regioni meridionali italiane, soprattutto sicilia-ne, un ricettario ben congegnato, con evidenti intenti pratici, certamente pensato, costruito e sviluppato per l’uso della cucina di corte. Il Liber de coquina, scritto nella lingua latina del tempo, è un ambizioso manuale di gastronomia internazionale rivolto al mondo occidentale e ben si colloca tra i manuali scientifici dell’epoca. La sua redazione è datata dal 1240 al 1250. Per meglio comprendere il ruolo e significato di questo testo va ricordato che Federico II favorisce l'antica e gloriosa Scuola Medica Salernitana nella quale l’alimentazione è parte integrante e importante degli studi e della pratica medica del tempo che, attraverso la mediazione araba, riscopre la scienza greca di Ippocrate e di Galeno con le regole di salute tra le quali la dietetica e l’alimentazione hanno un posto importante e ha bisogno di manuali moderni.
Le ricette di questi libri non hanno solo derivazioni arabe, ma anche di molte e diverse regioni italiane, facendo ritenere una loro conoscenza e raccolta da parte della corte di Federico II itinerante per l’Italia durante le sue campagne militari. Non altrimenti si spiega la presenza di ricette di cibi anche po-polari di diverse parti della penisola che sono giunte fino ai giorni nostri, come le Crespelle de quaresima oggi ancora note in tutta Italia come frappe, sfrappole, cenci, galani, bugie o chiacchiere, le Lassanis che corrispondono al-le odierne lasagne di pasta bollita e condita, la Torta defoliata che non sono altro che le tigelle (tiella, tiellam) ancora oggi presenti nelle colline e montagne appenniniche di Modena (foto).
Nei trattati federiciani, ricchi di ricette sono i capitoli De genere herbarum dedicato alla cucina dei vegetali e in particolare delle verdure, De super-fluitatibus animalium riguardante il latte, i latticini e le uova, De piscibus per i pesci e De cibis compositis et multis per le preparazioni gastronomiche più complesse. Cospicuo e dettagliato è il capitolo De animalibus che raccoglie molte ricette sulle carni di animali domestici e selvatici. Carni e visceri di ani-mali sono usati per essere conservati con il fumo e spezie in budelli, gli attuali salumi che hanno diverse denominazioni e tra queste al ancora attuale salsiccia (sale e ciccia o carne).
I due libri di Federico II, accogliendo anche l’opinione di Anna Martellotti (Martellotti A. – I Ricettari di Federico II – Leo S. Olschki, 2005), dimostrano che mentre la poesia siciliana diventa toscana e la letteratura toscana di-viene italiana, la cucina e la gastronomia raccolte per ordine di Federico II conquistano i ceti colti e soprattutto gli scrittori d’Italia, confermando come i costumi alimentari si accompagnano alle più importanti manifestazioni lettera-rie e scientifiche. In Italia e fino alla metà del secolo diciannovesimo non si costituisce un governo unitario e persiste una frammentazione che condiziona il persistere di lingue locali e lo stesso è per la cucina che dopo diversi tentati-vi trova il suo principale strumento d’unificazione in Pellegrino Artusi, un letterato, che nel 1892 pubblica il suo ricettario, che sarà ampliato con le lettere che gli sono scritte da ogni parte d’Italia. Una duplice, curiosa analogia con i trattati che Federico II fa scrivere da letterati anche con le ricette raccolte durante i suoi spostamenti lungo la penisola.