Paradossi di mezza estate. Il 14 luglio Coldiretti annuncia: “Il caldo record spinge i consumi di frutta verdura al massimo del nuovo millennio con un balzo record del 9,6% nel 2017 ma nei campi è crisi con quotazioni che in molti casi non coprono i costi di produzione delle aziende a causa di distorsioni di filiera e speculazioni”. Il 17 luglio Italiafruit rilancia: “Meloni e pesche italiane, nei Mercati tutto è fermo”. La calma piatta nei consumi – nonostante il caldo – viene confermata da tempo anche da autorevoli esponenti della GDO. Insomma, la solita tarantella…
Intanto l’appello del Tavolo ortofrutticolo romagnolo (CSO, Agrintesa, Apofruit, EurO.P.fruit, La Buona Frutta, Il Frutteto, Granfrutta Zani, Minguzzi, Naturitalia e Orogel Fresco) per salvare la campagna di pesche e nettarine 2017 suona come una marcia funebre per il settore.
Lo slogan (“Mangiate almeno una pesca o una nettarina della Romagna al giorno, ci aiuterete a difendere il nostro lavoro e territorio e ne gioverà la salute”) che girerà su radio Rai, Quotidiano Nazionale e vari canali social è la controprova che il comparto ha l’acqua alla gola, che tutte le ricette provate finora sono state fallimentari, che sono mancati energia, progetti e risorse per invertire la rotta. Il Titanic va verso il suo destino, a bordo risuonano gli ultimi appelli.
Chiarisco: il CSO ha fatto benissimo a fare quello che ha fatto, i gruppi privati e cooperativi ad aderire e giocare quest’ultima carta. Il senso è: non ci possiamo rassegnare ad un’altra stagione disastrosa per un comparto che però ha già perduto gran parte dei mercati europei, almeno quelli che contano e che pagano bene. In passato, in circostanze analoghe, un ministro di cui è meglio non ricordare il nome sponsorizzò la distribuzione gratuita di pesche sulle spiagge. Il messaggio: questa frutta è gratis (quindi non vale niente). Alla fine il ministero fece sapere che l’operazione aveva avuto successo con la distribuzione di quasi 1 milione di frutti. Un altro ministro – oggi presidente di Regione – si inventò lo sciopero dell’ananas: in pratica un titolo sui giornali e nulla più. Avete capito che razza di ministri abbiamo avuto in Italia?
Comunque un anno c’è la Spagna, l’anno dopo la Grecia, il terzo troppa produzione, il quarto poca, il quinto calendari sovrapposti, il sesto troppo caldo o troppo freddo. Il risultato è che anche se c’è caldo (e i consumi forse salgono) i prezzi in campagna non remunerano il prodotto. 40-45 centesimi al produttore, 2,50-3 euro al dettaglio per il consumatore. Anche quest’anno è andata così. La GDO fa i comodi suoi, margina sui prezzi bassi all’origine e se qualcuno obietta dice: “Dovete fare più qualità e programmare meglio”. Stop, fine della recita, giù il sipario.
Come se ne esce? Non lo so, forse non se ne esce. Continueremo così, perdendo produzione e superfici, finché il settore non si ridimensionerà definitivamente. Servirebbe un colpo d’ala, un grande progetto di riconversione (le varietà col pelo non vanno più), un piano frutta con le pesche malato grave da guarire, una programmazione forte fra le Regioni e le aree produttive. E ovviamente un bel po’ di soldi. Qualcuno ci crede? Io no. Qui non abbiamo neppure disponibili i catasti produttivi, dove vogliamo andare?
In giugno sono stato in giro per diversi giorni fra ristoranti nelle Marche, stellati e no. Non uno che avesse frutta al posto del dessert o ‘nel’ dessert. Alla faccia dei 5 colori del benessere…
(* Direttore del Corriere Ortofrutticolo)