Nell’ultimo mezzo secolo abbiamo assistito a cambiamenti sconvolgenti per quanto riguarda lo sviluppo e le vicissitudini dell’agricoltura e degli operatori agricoli, a livello nazionale, europeo e mondiale.
Occorre precisare che da millenni l’agricoltura ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo della civiltà: circa 10.000 anni fa lo sviluppo dell’agricoltura è stata la condizione sine qua non per garantire una disponibilità continua di cibo, tale da garantire la sedentarizzazione e lo sviluppo di una società umana stanziale, la diversificazione delle sue attività e la nascita delle specializzazioni artigianali e professionali: le basi per la attuale civiltà. L’agricoltura è stata quindi la innovazione operativa che ha permesso la prima rivoluzione sociale umana. Successivamente, anche con lo sviluppo dell’artigianato e dei servizi, ha mantenuto per migliaia di anni una posizione di preminenza, legata alla impellente e continua necessità di produrre cibo per la sopravvivenza di tutti.
La seconda rivoluzione che ha interessato l’agricoltura è stata il recente sviluppo della industrializzazione, iniziata con l’invenzione e la disponibilità dell’energia termo-meccanica e quindi elettrica. Ciò ha permesso l’uso di vari tipi di macchinari agricoli, la produzione di fertilizzanti di sintesi, di pesticidi e il rapido sviluppo dei trasporti su strada, acqua ed aria.
La produzione alimentare per unità di territorio, nei Paesi sviluppati, ha quindi permesso, con il progresso delle scienze biologiche e delle comunicazioni, uno straordinario incremento delle produzioni (nel mais oltre 10 volte maggiori!) e degli scambi commerciali. Solo 150 anni fa, secondo uno studio tedesco, occorrevano 4 agricoltori per produrre il cibo necessario per sé stessi e per un non agricoltore. Oggi un agricoltore produce cibo per almeno 100 altri esseri umani! Di qui la diminuzione degli addetti agricoli (nei Paesi sviluppati), a favore degli occupati nelle industrie e nei vari servizi che man mano si sono sviluppati e moltiplicati.
Oggi noi assistiamo ad un’altra rivoluzione: la globalizzazione e la liberalizzazione degli scambi commerciali, che, ovviamente, coinvolge ormai anche il settore agricolo ed alimentare. La globalizzazione dei mercati, purtroppo attuata in troppo poco tempo, ha portato ad una rapidissima realizzazione degli scambi di informazioni e di beni, che hanno messo a disposizione di larga parte dell’umanità anche le produzioni alimentari mondiali. Fino a diversi decenni fa, in assenza di facili trasporti ed informazioni, il prezzo dei generi alimentari era basato sul rapporto domanda-offerta a livello locale. Quindi ai bassi livelli produttivi si potevano assommare facilmente gli effetti di annate od eventi favorevoli o sfavorevoli, determinando disponibilità o meno di alimenti, non facilmente risolvibili con il trasferimento di generi alimentari da altre aree produttive, determinando ampie oscillazioni dei prezzi. L’attuale situazione di liberalizzazione degli scambi e della disponibilità di trasporti e la graduale, ma continua diminuzione delle barriere doganali, hanno però portato anche ad uno squilibrio tra aree in cui, a parità di capacità produttive, i costi necessari per la produzione possono essere molto diversi. I Paesi che godono di ampie superfici coltivabili, di bassi costi di manodopera, di mezzi di trasporto rapidi e moderni ed, in genere, di facilitazioni per l’esportazione, sono indubbiamente avvantaggiati, potendo offrire al mercato libero, a costi anche più contenuti, i loro prodotti alimentari.
Oggi, l’agricoltura italiana che, per l’ultimo mezzo secolo ha goduto di una continua protezione a livello nazionale ed europeo, si trova notevolmente spiazzata in quanto, di fatto, non è autosufficiente per le principali produzioni alimentari, principalmente per la carenza del territorio necessario per tali produzioni. Infatti sono oggi coltivati in Italia circa 12,5 milioni di ettari; il che significa che, per ognuno degli oltre 60 milioni di persone che abitano nel nostro Paese, sono disponibili poco più di 2.000 metri quadri di terreno agrario: solo un ettaro per 4-5 persone. Da ora in poi dovrà essere un imperativo strategico non sottrarre altre aree produttive per la nostra alimentazione!
Per i cereali per uso umano o zootecnico, l’Italia è autosufficiente per circa la metà delle richieste di grano tenero, un po’ di più per il duro, mais, orzo ecc. Per produrre le fonti proteiche di base (carne, latte e uova) l’Italia deve oggi importare tra il 60% ed il 70% dei prodotti necessari per la nostra zootecnia industriale.
Attualmente le nostre esportazioni alimentari riguardano limitati articoli del settore orto-frutticolo, il vino ed alcuni prodotti di trasformazione (pasta, latticini, salumi).
Quindi, la necessità di importare larga parte dei prodotti alimentari di base, fornisce alla nostra industria agroalimentare l’obbligo di importarli da altri Paesi produttori, che possono in molti casi anche fornirli a prezzi notevolmente inferiori a quelli dei produttori nazionali, che spesso debbono affrontare costi di produzione ben più elevati. Di qui la necessità di arrivare ad accordi nazionali di filiera, che però possono essere realizzati solo se i prodotti nazionali potranno garantire qualità tecnologiche, sanitarie e nutrizionali certificate e di alto livello rispetto a quelle di importazione, cioè i nostri prodotti dovranno essere molto più competitivi per la qualità. Di qui la necessità, per i produttori italiani, che vengano perfezionate e migliorate le tecnologie di produzione, di disporre, mediante specifiche ricerche, e quindi utilizzare, cultivar più pregiate e di contenere per quanto possibile i costi di produzione, così da conferire oggettivi vantaggi rispetto ai prodotti esteri.
Quindi, per superare l’attuale crisi finanziaria ed economica che coinvolge tutto il settore agricolo alimentare, occorrerà incrementare la competitività delle nostre produzioni agricole più importanti, seguendo la domanda di un mercato sempre più esigente.
Compito non certo facile, data anche la frammentata e senile struttura fondiaria italiana, ma necessario per superare l’attuale crisi economica e rilanciare il settore primario, fattore fondamentale per il nostro benessere fisico ed economico.