Il prof. Longo ha tracciato un quadro dell’apicoltura siciliana le cui origini nell’Isola precedono l’arrivo dei coloni greci, i quali hanno introdotto le tecniche apistiche tradizionali scomparse negli anni’70, insieme ai vecchi apicoltori che, nelle arnie di ferula, allevavano l’indigena ape nera Apis mellifera siciliana, Dalla Torre, 1896. Dal punto di vista biologico ed economico l’attività più importante delle api è l’impollinazione delle piante entomogame spontanee e coltivate. Il miele e gli altri prodotti dell’alveare: cera, polline, propoli e veleno, nel 2013, secondo l’UNAPI, avevano un valore monetario di 20,6 milioni di euro/anno contro i 2,6 miliardi di euro/anno attribuiti al servizio di impollinazione delle colture. L’Unione Europea, nel 2011, ha stimato il valore dell’impollinazione entomogama in 57,62 miliardi di euro/anno. Per tutelare e migliorare geneticamente l’ape ligustica, Apis mellifera ligustica Spinola, nella Penisola e la siciliana nell’Isola, il MIPAAF, nel 1999, ha istituito l’Albo degli Allevatori di Api Regine, ora Albo degli Allevatori di Api Italiane, strutturato nelle due sezioni: A. m. ligustica e A. m. siciliana, gestito dal CREA-API, attraverso il Comitato di Gestione, l’Ufficio Centrale e la Commissione Tecnica Centrale. Mantenere il patrimonio genetico di tale sottospecie, inserita anche nel progetto europeo Smartbees, è importante in quanto endemismo della Sicilia, ponte evoluzionistico tra la sottospecie africana A. m. intermissa e le europee A. m. carnica e A. m. ligustica nonché fonte di variabilità genetica residua. Il progetto APESLOW, mira alla reintroduzione di A. m. siciliana in Sicilia orientale e ad aumentare il numero di allevatori certificati di api regine siciliane fornendo loro tutela e formazione, nonché a promuovere l’iscrizione all’Albo.
La prof.ssa Mazzeo, del Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente dell'Università degli Studi di Catania, nella sua relazione sulle api e la qualità dell’ambiente ha sottolineato l’importanza delle api quali specie indicatrici dell’inquinamento ambientale e della biodiversità. Esse instaurano con le piante rapporti esclusivi, frutto di una lunga coevoluzione, ed esprimono rapidamente il mutare delle condizioni ambientali, subendo rarefazioni o il declino in condizioni di degrado, causate per lo più dalle attività umane. Il primo studio su scala nazionale degli apoidei presenti in ambienti a diverso grado di antropizzazione è stato eseguito nell’ambito del Progetto AMA (Ape, Miele, Ambiente) del MiPAAF e ha consentito di censire le specie e valutare, attraverso gli indici di diversità, la qualità di ciascun ambiente. L’ape mellifera, grazie alle sue caratteristiche morfologiche e biologiche, è un ottimo bioindicatore; la sua assenza in un biotopo in cui siano presenti fonti nettarifere, denuncia l’esistenza di condizioni sfavorevoli. Le colonie di ape mellifera possono essere utilizzate per il monitoraggio di inquinanti nell’ambiente o per valutarne le condizioni di abitabilità e, indirettamente, la qualità. In uno studio condotto in un’area protetta, in Sicilia, è stato effettuato sia il censimento dei pronubi sia il monitoraggio dell’ambiente mediante colonie di ape mellifera al fine di valutare la qualità dell’area in termini di biodiversità e assenza di fattori di rischio per la vita delle api e per l’ottenimento di prodotti di elevata qualità.
Il prof. Palmeri del Dipartimento di Agraria, dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, ha ripercorso quanto noto sulle malattie e parassitosi delle Api tra vecchie e nuove conoscenze. L’ape è tra gli insetti più studiati al mondo per l’indiscutibile valore ambientale e per la sua peculiare caratteristica di poter dare reddito sotto molteplici forme (miele, cera, polline, propoli). Ciò implica che nell’ambito di un’inarrestabile globalizzazione, che non poteva escludere un comparto così importante, anche le problematiche sanitarie abbiano ricadute che coinvolgono tutte le regioni geografiche del Pianeta. E’ stato ripercorso l’elenco delle malattie e parassitosi che nell’ultimo trentennio sono state riconsiderate sia sotto il profilo dell’esizialità sia sotto quello eziologico e in alcuni casi anche della tassonomia. Sono stati evidenziati i progressi che le nuove tecnologie hanno portato nell’identificazione di virosi, batteriosi nonché micosi, che ormai poggiano su metodiche bio-molecolari di altissima specificità. E’ stato fatto il punto su quelle che, allo stato attuale, possono considerarsi le “malattie” chiave del comparto, soffermando l’attenzione sulla recente introduzione in Italia del coleottero nitidulidae Aethina tumida già segnalato in ben quattro continenti e che solo negli USA ha già colonizzato una trentina di Stati. Di tale problema emergente è stato dato un quadro sinottico tracciando gli elementi salienti sulla biologia e sulle principali e possibili tecniche di controllo con cui, nell’imminente futuro, l’apicoltura italiana dovrà confrontarsi.
Il prof. Floris del Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Sassari ha trattato il tema delle difese naturali delle api connesse con l’immunità sociale intesa come insieme dei meccanismi di difesa collettiva e individuale. Le colonie di insetti sociali, infatti, grazie al loro livello di organizzazione, sono state assimilate agli organismi pluricellulari fin dai primi anni del 1900 e definite come “superorganismi”. In questi insetti, una delle principali aree di cooperazione tra gli individui è lo sviluppo di un sistema immunitario sociale della colonia che include l'insieme dei meccanismi di difesa collettiva attuati dalle api per combattere predatori, parassiti e patogeni, che minacciano costantemente la sopravvivenza dell’alveare. Vengono, inoltre, adottati simultaneamente meccanismi di difesa individuali, aumentando così la resistenza o la tolleranza contro i nemici dell’alveare e contrastando l'aumento del rischio di trasmissione delle malattie determinato dalla vita di gruppo. Alcuni di questi sistemi di difesa sono preventivi, altri vengono attivati quando patogeni e/o parassiti sono già penetrati nell’alveare. Esempi di difese collettive sono la febbre sociale, il grooming, il comportamento igienico e la self-medication tramite l'uso di sostanze prodotte (veleno) o raccolte dall'ambiente (resina). Le interazioni sociali alla base di tali strategie sono il risultato di dinamiche coevolutive tra ospite e antagonisti, caratterizzate da adattamenti costanti e da reciproci contro-adattamenti.