Una vera svolta è rappresentata dalla Convenzione Europea del Paesaggio del 2000 (approvata in Italia nel 2006), da cui riparte in modo attivo il dibattito culturale sul tema paesaggio. Per la prima volta si cerca di dare una definizione al paesaggio, nel preambolo della Convenzione si definiscono i ruoli del paesaggio, la valenza, non solo e non tanto estetica, “come quadro” ma anche e soprattutto di carattere sociale e si individuano dei principi di tutela. Si introduce il concetto di “paesaggio così come percepito dalle popolazioni”, come luogo di vita, di lavoro e quindi il cui godimento non è percepibile e limitato ad una élite culturale. E non solo: si parla per la prima volta di “paesaggi degradati”, mentre fino a quel momento, e, a dire la verità anche oggi nel nostro immaginario, nella parola paesaggio è insito l’aggettivo “bello”.
Nel 2004 viene approvato in Italia il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (Dlgs 42/2004 e s.m.i.), che riconduce allo Stato il riconoscimento del paesaggio (sparisce, infatti, nella definizione, “così come percepito dalle popolazioni”, concetto protagonista della Convenzione europea del paesaggio). Il Codice divide la tutela del Patrimonio Culturale in tutela dei Beni Culturali e dei Beni Paesaggistici, riproponendo, con lievi modifiche ed integrazioni, all’art.136 la L. 1497/39 e la L. 431/85 all’art.142. Tuttavia il Codice intende superare la tutela del paesaggio “a macchia di leopardo” attuata dalla normativa citata, prevedendo all’art.143 che lo Stato e le Regioni congiuntamente facciano dei Piani urbanistico territoriali con valore paesaggistico che analizzino tutti i paesaggi della Regione e ne predispongano le relative discipline d’uso assicurando, in tal modo, che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito. La redazione congiunta tra Stato e Regioni ha anche lo scopo, una volta che ciascuna regione sarà dotata di PP approvato e che tutti i Comuni avranno adeguato e conformato i propri piani alla disciplina paesaggistica di tale Piano, i pareri delle Soprintendenze avranno un ruolo consuntivo e non più vincolante.
In Toscana, in attuazione del Codice, nel 2015 è stato approvato il PIT con valore di Piano paesaggistico, dotato di un ricco quadro conoscitivo, che permette di consultare con facilità le aree tutelate dal Codice dei Beni culturali e del paesaggio, il loro perimetro, le schede dei beni vincolati art.136. E non solo perché in questo Piano, in attuazione del Codice, è analizzato e sottoposto a disciplina d’uso tutto il territorio regionale, diviso in “Ambiti”. Sia le schede dei Beni di cui all’art.136, che le schede degli Ambiti di paesaggio contengono, oltre ad una molteplicità di dati conoscitivi e ad elaborazioni interessanti per la comprensione delle dinamiche di trasformazione del territorio, direttive prescrizioni d’uso, che sarebbe utile sperimentare e mettere in pratica.
Il PIT con valore di piano paesaggistico rappresenta una tappa importante per la nostra Regione.
La sperimentazione delle procedure, che è in corso, al fine di adeguare tutti i Piani urbanistici comunali, riveste un ruolo significativo perché la forma, si sa, è anche sostanza, ma il dibattito sul paesaggio si è fermato, cristallizzato, è come se si fosse arrivati alla meta.
Ricordiamo che Convegno sul paesaggio di Capri del 1922 giunse alla conclusione della necessità di diffondere la cultura della bellezza d’Italia nelle scuole pubbliche, iniziando dalle elementari! E che la Convenzione europea del paesaggio parla di paesaggio così come percepito dalle popolazioni e non come di un argomento strettamente disciplinare di una categoria professionale, di cui si discute solo all’interno degli Uffici Regionali. Forse potremmo/dovremmo riavviare un dibattito culturale sul paesaggio, che parta dal lavoro ingente fatto dalla Regione Toscana, facendone partecipe la popolazione, gli insegnanti e gli studenti delle scuole, tutte le persone che abitano il paesaggio e che con il loro vivere agiscono su di esso. Porgiamo la tutela del paesaggio attraverso un progetto di comunicazione articolato.
Introduciamo qualche riflessione in più: il paesaggio è un teatro in cui l’uomo svolge una duplice funzione: di attore (costruttore di paesaggi) e di spettatore (colui che percepisce paesaggi), queste due figure sono separate nello spazio e nel tempo. Infatti mentre per percepire, apprezzare un paesaggio è necessario allontanarsene un po’ (anche Dio, dice Borchard, quando creò il mondo si riservò l’ultimo giorno per ammirare la sua opera). Inoltre in passato la percezione dei paesaggi, considerati come quadri naturali, si ricorda, era appannaggio delle classi sociali più elevate. L’agricoltore guardava il paesaggio ma il lavoro faticoso, pesante lo abbrutiva, gli impediva di leggerne e di apprezzarne la bellezza, mentre erano i signori e gli intellettuali ad andare in campagna a godere delle “bellezze naturali e panoramiche”.
"Fortunati agricoltori…” diceva Virgilio nell’ultimo libro delle Georgiche (30-37 a.C.) “… Si, anch’io sarei felice ad essere agricoltore senza che i miei occhi cessassero di vedere ed il mio cervello di comprendere l’armonia dei suoni e dei colori…”
George Sand nel romanzo “Lo stagno del diavolo” pubblicato nel 1966 diceva: “L’uomo agiato viene a cercare un po’ d’aria e di salute in campagna poi ritorna nella grande città…l’uomo di campagna è troppo oppresso e troppo sgomento dell’avvenire per godere della bellezza della campagna… Giorno verrà in cui il coltivatore potrà essere anche un artista”.
Forse questo è il momento, potremmo pensare, in cui è lo stesso soggetto che agisce consapevolmente sul paesaggio, quindi è svolge contemporaneamente ruolo di attore e di spettatore. Ed in parte è vero perché ci sono agricoltori che costruiscono ma che contemporaneamente sono in grado di valutare la propria opera. Tuttavia c’è altro ad impedirci di apprezzare, anzi, di percepire, il paesaggio.
Oggi la maggior parte delle persone non svolge lavoro pesanti, quasi tutte hanno studiato, studiano o hanno l’opportunità di conoscere e di viaggiare. Eppure il duro lavoro dei campi è stato sostituito da qualcosa che ci allontana da una percezione consapevole del paesaggio, da un godimento diretto di esso. Guardiamoci intorno: chi non sta con gli occhi sul cellulare o sul computer? Nessuno ha tempo e testa per apprezzare “la bellezza” o il degrado che ci circonda. Oggi siamo abbrutiti non dalla fatica del lavoro dei campi ma dalla fretta, dalla tecnologia, che ci impediscono di percepire viste, odori, sapori, suoni naturali. Del resto anche chi, per lavoro o per diletto è di fronte al paesaggio oggi fa fatica a percepirlo in modo diretto, infatti il telefono, il tablet, il computer, la macchina fotografica, il GPS, sono strumenti ci permettono di “portare a casa” immagini tecnicamente perfette, ma nel fotografare, riprendere, filmare, siamo distratti dalla percezione diretta, dal godimento di ciò che ci sta intorno. E quella che portiamo a casa non è che “una copia” del paesaggio di cui parla la convenzione europea. Abbiamo perso l’occasione di avere a disposizione, anche se per un attimo, l’originale.
(La I parte dell'articolo è stata pubblicata nel numero del 12 aprile 2017)
Commento di Franco Scaramuzzi
Mi permetto di ricordare che l’Accademia dei Georgofili fu fondata allo scopo di “far continue e regolate sperienze ed osservazioni per condurre a perfezione l’Arte tanto giovevole della Toscana coltivazione”. E’ la più antica Istituzione a occuparsi di Agricoltura, ambiente, alimenti, bonifiche, tutela della terra coltivata, ecc. Tutto sintetizzato nelle tre parole del suo antico logo “Prospetitati publicae augendae”.
Ma nell’intero testo della Dr.ssa Norci non viene mai citata l’esistenza e l’importanza della parola “agricoltura”, che è iniziata con la stanzialità dell’uomo e che finora è stata definita come “settore produttivo primario”. Eppure l’autrice è laureata in Agraria.
Come si fa ad ignorare il fine della recente Expo universale 2015 svoltasi a Milano sul tema “bisogna sfamare il nostro pianeta”, con concetti sottoscritti con la “Carta di Milano”. Tutti si sono impegnati a evidenziare la necessità che ogni Paese contribuisca. Eppure la Dr.ssa Norci è entrata da qualche anno a far parte della nostra Accademia come Georgofila Aggregata nella Sezione Centro-Ovest.
L’articolo riporta una dettagliata citazione di interventi storici sul “Paesaggio, sull’ambiente e sui beni culturali”. Tutte terminologie che continuano a creare confusioni causate dalle molteplici interpretazioni che vengono loro attribuite. Ma come può spiegarsi anche l’assoluta mancanza di citazioni sull’ampio lavoro svolto su questi temi, dai Georgofili soprattutto a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso e sempre pubblicato nei propri Atti?
Ricordo, per l’ennesima volta, che credo fermamente nell’utilità del dialogo. Sarò quindi lieto di parlare dell’argomento con l’autrice perché, se non trovassimo idee condivise, potrebbe voler dire che non abbiamo dialogato abbastanza, oppure che qualcuno di noi non riesce a ritornare libero da preconcetti e ideologie irrinunciabili. Le assicuro che se un interlocutore mi convincesse che il suo pensiero è migliore del mio non esiterei a cambiare opinione, ringraziando per avermi evitato di continuare a sbagliare.