Il duro confronto con la realtà sta facendo cadere molti tabù. Il “piccolo è bello”, la filiera corta, il chilometro zero, il valore dei territori, del localismo sono elementi di forza del made in Italy ma anche luoghi comuni ripetuti a vanvera in ogni occasione. Spesso chi li esalta non sa quello di cui parla, altre volte sono formulette ripetute per spirito di bandiera o per ‘lisciare’ la platea. La realtà si incarica di smentire i pasdaran di queste formulette. Si pensi ai disastri che il localismo ha causato ai conti delle banche e a migliaia di famiglie di risparmiatori. Da Mps alle banche venete giù giù fino alle Casse rurali la dirigenza, il management che in molti casi ha distrutto reputazione e bilanci di gloriosi istituti di credito non era espressione appunto del localismo, dei territori? I presidenti, i membri dei Cda dove venivano scelti? Mica a Roma. Una bella iniziativa dell’Accademia dei Georgofili di Firenze è stata l’occasione per parlare di cooperazione agroalimentare. Anche qui bisogna distinguere, non si può fare di ogni erba un fascio. La cooperazione in sé è un valore, per l’economia, per il territorio, per il made in Italy. Specialmente in Italia dove c’è troppo pubblico. Ma c’è la cooperazione che funziona e quella no; quella che opera e pensa come una impresa privata e quella che vive all’ombra dei sussidi pubblici (comunitari, nazionali o regionali). Quella dove ci si misura col mercato e vale il merito, e quella dove il management va avanti per logiche di appartenenza prescindendo dai risultati. Sono gli uomini, come sempre, a fare la differenza. Ai Georgofili si è fatto il confronto Italia-Francia in tema agroalimentare, settore vocato per la cooperazione. Il quadro: Italia e Francia sono ancora troppo distanti in fatto di cooperazione agroalimentare. Le imprese italiane sono ancora “tante e piccole” e hanno bisogno più che mai di “crescere”. In Francia un brand alimentare su 3 è cooperativo. Tra il 1995 e il 2015 le cooperative francesi (2.600 come numero) sono diminuite come numero ma hanno accresciuto il loro peso economico. In Italia abbiamo quasi il doppio di imprese rispetto alla Francia (4.722) con una dimensione media di 7,4 milioni di euro di fatturato. Complessivamente fatturiamo 34,8 miliardi di euro (in Francia più del doppio: 86 miliardi). Se invece di Francia si fosse parlato di Spagna, il quadro sarebbe stato più o meno lo stesso.
“Crescere” è l’imperativo categorico, ma crescere significa aggregarsi. E per aggregarsi non occorre fondersi, ci si può aggregare ‘a rete’, con alleanze commerciali, ecc.
Sappiamo tutti perché in Italia si fa fatica ad aggregarsi. Campanili, regionalismi, rivalità, litigiosità insite nel nostro dna, ma anche storia, barriere storico/ideologiche, diffidenza reciproca. Una vocazione alla frammentazione, agevolata anche da una struttura di rappresentanza del mondo agricolo arcaica e ingessata agli assetti di 50 anni fa. Per uscire da questa palude la cooperazione italiana ha intrapreso con coraggio la strada dell’Alleanza cooperative (Aci), su cui bisogna procedere però più velocemente e con coraggio verso una vera fusione.
Come per fare le riforme, l’Italia ha bisogno anche di un input esterno per far crescere la cooperazione. Bisogna che l’Europa incentivi di più questo strumento, anche per le aziende grandi “perché solo così le aziende possono essere davvero stimolate a mettersi insieme”, dice il coordinatore di Agrinsieme e numero uno di Fedagri-Confcooperative, Giorgio Mercuri. Ma bisogna lavorare anche in Italia. In ortofrutta l’aggregazione a livello di Op sfiora il 50%. Venti anni fa era al 35% quindi è cresciuta, ma è ancora poco. Bisogna orientare e coordinare i Psr regionali, bisogna che dal ministero giungano segnali precisi in riferimento alle dimensioni minime delle Op. Siamo bravi a captare i finanziamenti Ocm. Nel 2017 gli aiuti attesi sfiorano i 240 milioni. Sono soldi, non c’è dubbio. Domandiamoci come vengono usati e se si intravvede una strategia ‘unitaria’ che affronti i nodi irrisolti del settore. Le Op italiane crescono di numero (al 1° gennaio 2017 risultano iscritte nell’elenco nazionale curato dal Mipaaf 310 Op, 13 in più delle 297 riconosciute al 1 gennaio 2016). Il Sud è molto indietro come aggregazione. A Matera, durante l’evento dei Protagonisti 2016, fu evidenziato da Italia Ortofrutta un dato forte: se il livello di aggregazione del Sud crescesse a livello del Nord, il sistema ortofrutticolo meridionale potrebbe godere di 150 milioni di risorse aggiuntive. Si tratta di capire se questo fiume di risorse finanziarie serve a far funzionare meglio il sistema, a renderlo più efficiente, a far crescere i territori, o invece se è pura sussistenza, mantenimento dello status quo. Quante Op nascono e vivono solo in funzione degli aiuti Ocm? Quante potrebbero sopravvivere senza?
*direttore del Corriere Ortofrutticolo
(da Il Corriere Ortofrutticolo, 7/04/2017)