La durata media della nostra vita continua a crescere. Mentre si discute troppo su cosa fare per migliorare e diffondere il “benessere”, inteso come qualità della vita. Non manca neppure chi considera come “diritto sociale” anche l’utopistica e statica “uguaglianza” (promossa invano dalla “Dichiarazione di indipendenza” degli Stati Uniti, dalla “rivoluzione francese”, ecc.).
In realtà, la società nella quale siamo nati e cresciuti ha sempre cercato di migliorare appunto le generali condizioni di vita, a cominciare dalla disponibilità del cibo necessario, così come diffondere l’istruzione, la formazione di ciascuna persona e delle intere società coese, educandole a consoni comportamenti morali e civili.
La nostra società era stata divisa in classi (nobili, borghesi, ricchi, poveri, ecc.). Ma, nel tempo, molti poveri sono diventati ricchi e molti ricchi sono caduti in povertà. La società continua a mescolarsi sempre più. Oggi, crescono nuovi indigenti, che soffrono in silenziosa dignità, senza chiedere nulla.
Ma gran parte della nostra popolazione vive oggi molto meglio che nel passato. Ciononostante, i bisogni sociali emergono sempre. Comunque è prioritario l’indispensabile aiuto ai veri poveri o malati.
Credo sia ragionevole adottare norme che garantiscano lo “stipendio minimo per tutti”, così come il recente “Decreto anti povertà”. Ma è indispensabile operare con criteri saggi ed efficienti, evitando però ulteriori ingiustizie. L’intera società pagherebbe, sia pure in modo indiretto, i danni provocati da errori commessi dalla politica, che oggi appare incredibilmente frastagliata, debole e più che mai confusa, in un pantano di corruzioni dal quale non riesce a venir fuori. Adottare provvedimenti per accattivare l’elettorato attuale potrebbe essere recepito negativamente.
Tratto da: QN - La Nazione, 21/03/2017