Secondo una leggenda, ma le leggende a volte sono più vere della realtà, sarebbe stato un imprenditore marchigiano che negli anni cinquanta del secolo scorso, affermando che “con il pesce ci vuole il vino bianco”, avrebbe superato il dilemma “bianco o rosso” invariabilmente posto dal cameriere a chi si sedeva al tavolo di una trattoria o di un ristorante. Poi è venuto Luigi Veronelli che con i suoi seguaci ha insegnato agli italiani la necessità di accoppiare a ogni cibo o piatto il vino più adatto, permettendo la valorizzazione delle tante varietà italiane di vini, dando sviluppo alla enologia e da qui l’attuale progresso della viticoltura italiana. Un binomio sinergico tra viticoltura e gastronomia hanno portato a un reciproco successo e lo stesso dovrebbe avvenire per l’olivicoltura e l’olio d’oliva.
L’olio d’oliva, a livello mondiale è quasi un prodotto di nicchia, perché nell’ambito dell’olio alimentare e secondo i diversi sistemi di rilevazione rappresenta solo dal due e mezzo al quattro per cento dei consumi totali. In Italia si producono circa duecentocinquantamila tonnellate di olio d’oliva, con un fatturato al consumo complessivo annuo pari a tre miliardi e duecentomila Euro. Il consumo pro-capite annuale è di poco più di nove chilogrammi, con un totale di oltre cinquecentomila tonnellate il che significa che almeno, se non più della metà dei consumi sono coperti dall’importazione. L’olivicoltura italiana comprende ottocentoventicinquemila aziende che su oltre un milione di ettari coltivano duecentocinquanta milioni di ulivi di oltre cinquecento, per alcuni settecento cultivar. Quasi cinquemila frantoi producono olio di oliva, di cui oltre il settanta per cento forniscono meno di cinquemila quintali d’olio. Quarantacinque sono le DOP e le IGP dell’olio d’oliva e di queste cinque totalizzano il settanta-cinque per cento della produzione a denominazione, per un valore annuo complessivo al consumo di centododici milioni di Euro. L’Italia è il secondo produttore mondiale d’olio d’oliva, dopo la Spagna, e primo importato-re e secondo esportatore con un valore pari a circa millecinquecento milioni di Euro.
Molte sono le denominazioni dell’olio d’oliva distinte secondo l’acidità, le cere e i metodi d’estrazione: di oliva Extravergine, Vergine, Lampante, Raffinato, o di sansa Greggio, Raffinato o d’Oliva, con miscele, mentre ventotto sono i parametri sensoriali per giudicare l’olio di oliva, con grandi varietà di gusti che spesso confondono i consumatori che non sono educati a distinguerli e soprattutto a impiegarli al meglio in abbinamento ai cibi e secondo ricette tradizionali o innovative. Poco se non niente sanno i consumatori sulle cultivar delle olive dalle quali origina l’olio. Un’educazione in questo senso, sensoriale e al gusto degli oli d’oliva, in particolare di quelli più pregiati come gli extravergini, è un’importante se non l’unica strada per valorizzare l’inimitabile patrimonio dell’olivicoltura e degli oli d’oliva italiani, in modo analogo a quanto avvenuto per i vini.
Per molti motivi la cultura dell’olio d’oliva è vicina a quella del vino e bisogna sviluppare la cultura oleo-gastronomica dell’abbinamento dell’olio d’oliva al cibo e al piatto. Per questo esiste anche un’organizzazione nazionale di assaggiatori di olio d’oliva (ONAOO) e un metodo di valutazione sensoriale degli oli vergini di oliva sviluppato e gestito, nelle sue evoluzioni, dal Consiglio Oleicolo Internazionale (COI), ad oggi l’unico metodo di natura sensoriale ad essere regolamentato a livello internazionale (COI) e comunitario (EU).
La coltivazione dell’olivo e la produzione dell’olio sono sempre state oggetto di grande interesse in Italia, ma il concetto di qualità fino a poco tempo fa non era ancora molto chiaro e l’analisi organolettica finalizzata al-la descrizione dell’olio in qualche modo passava in secondo piano. Odiernamente, con il Panel Test si può apprezzare un olio nella sua completezza, dando risalto alle componenti organolettiche che, in funzione del loro equilibrio ed omogeneità permettono di fondere i sapori dei vari ingredienti del-le vivande in cui l’olio viene utilizzato. Se al vino deve accompagnare i piatti senza coprirne il gusto, l’olio deve legare ed esaltare i sapori, usando soprattutto quello extravergine “giovane” sempre più aromatico e che esprime al meglio la sua tipicità e il suo flavor, come affermano i sommelier dell’olio o oleologi.
Senza entrare in dettagli gastronomici, per le ricette tradizionali é sempre meglio, se non indispensabile usare oli extravergini di cultivar dei territori d’origine e quindi olio ligure per il pesto, olio toscano per la ribollita e via dicendo. Per una rivisitazione di ricette tradizionali e soprattutto per le ricette innovative, la scelta dell’olio entra nella sensibilità gastronomica che secondo i gusti può sfruttare armonie e contrasti in particolare per i tipici gusti di fruttato, amaro o pungente. Come oggi non è più accettabile che in un ristorante all’inizio del pasto e prima di aver scelto il menù si chieda se portare un vino bianco o rosso, lo stesso è per l’olio di un’insalata o di altro piatto deve essere scelto caso per caso. Per il pesce sono preferibili gli oli extravergine fruttati e diversi sono gli abbinamenti sul pane nella tradizionale bruschetta, ma vi anche con qualche difficoltà, come è l’abbinamento con il gusto amaro dei carciofi, fenomeno peraltro simile al non facile accoppiamento con il vino.
La pur importante conoscenza dei diversi tipi di olio d’oliva e dei va-lori dell’extravergine non sono più sufficienti per una completa valorizzazione degli oli d’oliva italiani, che derivano da molte centinaia cultivar che devono essere valorizzate da una cucina e da una gastronomia italiana, caratterizzate da una varietà che rispecchia le diversità territoriali della penisola. Solo in questo modo è possibile aumentare di valore dell’inimitabile patrimonio degli oli d’oliva italiani, determinando anche il successo della no-stra olivicoltura, in modo analogo a quanto avvenuto per i vini e la viticoltura italiana.