Si fa presto a dire riso. Basta guardare gli scaffali dei supermercati per vedere la crescente presenza di nuove varietà di riso, anche se non così numerose come per i vini. Per il riso come per altri alimenti siamo sulla strada di una sempre maggiore diversità qualitativa, che trova riscontro nei loro diversi usi in cucina e in una migliore conoscenza gastronomica dei consumatori. Come per il vino, per il quale non ci accontenta più di scegliere tra bianco o rosso, anche per il riso s’iniziano ad apprezzare le sue tante diversità, non solo di forma e nutrizionali, ma anche di tipo gastronomico, come il suo aroma o profumo.
Il riso è il cibo più consumato nel mondo, un cereale che nutre miliardi di persone in tutti i continenti, con un uso pro capite di circa sessanta-cinque chilogrammi. In Italia, come alimento, il riso è arrivato da secoli, ma solo da una centinaia d’anni è di uso comune e popolare e ora circa la metà degli italiani lo mangia regolarmente con una media cinque chilogrammi e mezzo per anno.
L’Italia è un paese buon produttore di riso, soprattutto di qualità. Nel Registro Nazionale delle Varietà italiano sono iscritte oltre centottanta varietà di riso, commercializzate secondo le regole della Legge del Mercato In-terno (DM 01 ottobre 2015) che prevede i seguenti gruppi merceologici di riso Comune o Originario, Semifine, Fino e Superfino, ognuno con molte suddivisioni. Per essere iscritta nel Registro Nazionale e commercializzata, ogni varietà deve avere caratteristiche particolari da un punto di vista agronomico, fisiologico o merceologico. Si tiene anche conto delle dimensioni del granello (lunghezza e larghezza), aroma, tempo di gelatinizzazione e contenuto di amilosio, texture ossia consistenza e collosità dopo cottura. Questi ultimi caratteri si correlano alla consistenza, masticabilità e adesività dei chicchi tra loro, rappresentando quindi “qualità” gastronomiche.
Difficile è precisare il concetto di “qualità del riso”, che varia nei di-versi paesi, culture alimentari e cambia nel tempo. Una certa “collosità” è per esempio gradita, se non necessaria per mangiare il riso con due bacchette (Cina) o per un “riso all’onda” (tipico del Veneto e non solo), ma non per altre preparazioni tipiche di cucine di altri paesi. Anche il riso “al dente” sembra un’abitudine relativamente recente. La qualità dipende inoltre da molte se non tutte le fasi di produzione del riso, iniziando dalla varietà genetica per passare al tipo di coltivazione e successiva lavorazione e, non ultime, dalle preferenze e competenze gastronomiche del consumatore.
Oltre la forma del chicco o granello, sue dimensioni, colore e comportamento alla cottura, la sua aromaticità o profumo del riso è una delle caratteristiche oggi all’attenzione dei cuochi, gastronomi e sempre più dei consumatori, divenendo un nuovo elemento di scelta preferenziale. I risi profumati o aromatici, prediletti in alcune aree dell’Asia dove vi è una raffinata gastronomia, sono ora sempre più apprezzati anche in Europa e in Italia, dove si stanno diffondendo. Tra le più importanti e note varietà di risi aromatici internazionali vi éè il Basmati dell’India e Pakistan (con oltre ottanta sottovarietà delle quali diciotto tipiche), il Sandri dell’Iran e il riso Khao Dok Mali del nord della Thaiklandia. L’Italia dove l’aroma entra tra i caratteri valutati per l’iscrizione di una varietà nel Registro Nazionale, non é se-conda per i risi aromatici con le varietà Apollo, Asia, Brezza, Elettra, Febo, Fragrance, Gange, Giano, Giglio, Iarim, Ermes (rosso), Venere, quest’ultimo noto anche per il suo colore nero.
Le varietà aromatiche del riso hanno un particolare aroma simile a quello dei pop-corn che si libera durante la cottura e, per talune varietà, è già ben presente durante la lavorazione. L’aromaticità dei risi è stata valutata con metodi sensoriali sui risi masticati, sull’aroma sviluppato durante la cottura e, o in seguito a trattamenti chimici e, più recentemente, analizzata con “nasi elettronici”. Oggi vi sono anche a disposizione procedure standardizzate di analisi sensoriale per il riso semigreggio e lavorato.
Molte sono le ricerche, iniziate fin dal 1965, per stabilire l’origine dell’aroma, che deriva da almeno un centinaio di diversi composti anche se, come avviene anche per altri degli alimenti, un’importanza particolare é attribuibile a poche o anche una sola molecola. Per i risi aromatici, la molecola che ha il maggior ruolo aromatico, individuata nel 1982 da Ron Buttery e collaboratori, é la 2-acetil-pifrrolidina (2AP). Percepita dall’olfatto anche in quantità molto piccole, questa molecola è contenuta in quantità quindici volte superiore nei risi aromatici rispetto a risi non aromatici e diminuisce man mano che il riso invecchia.
Per rispondere allo stile di vita sempre più veloce e diversificato dei consumatori, le aziende produttrici italiane stanno da tempo puntando su nuovi prodotti a base di riso come quello perboiled, i preparati per risotti, le gallette di riso, i biscotti a base di riso, la pasta di riso e i cereali per la prima colazione e, per soddisfare le esigenze naturistiche, anche i risi integrali. Ora si stanno aggiungendo i risi aromatici che riscuotono un crescente interesse da parte dei consumatori più evoluti.
I risi aromatici sono oggi usati in gastronomia e cucina per preparazioni esotiche, interpretare sotto nuova luce le ricette tradizionali e soprattutto nella cucina creativa degli chef, che li usano per mettere in evidenza il loro particolare aroma, sfruttando anche, per alcuni di essi come il riso Ermes e Venere, il colore rispettivamente rosso e nero. Una strada, quella dell’uso di risi aromatici, d’indubbio interesse per l’Italia, ricca di queste varietà e che sul piano delle produzioni alimentari non può competere sulla quantità, ma sulla qualità anche gastronomica.