Alla faccia del riscaldamento globale: freddo e neve al Sud. Sole, gran freddo ma niente neve fino a 2000 metri in Trentino Alto Adige. Che dire? Tempo folle, che se infischia delle latitudini. D’altronde, signori, è inverno, ricordiamocelo. Che faccia freddo, anche molto freddo, è normale. Sono anomali gli inverni temperati, quantomeno al Nord. Gelo e neve hanno messo ko al Sud decine di migliaia di imprese agricole, le produzioni di ortaggi sotto serra sono state falcidiate, idem molte produzioni agrumicole. Di conseguenza manca il prodotto nei mercati anche a causa dei collegamenti problematici (per il meteo) tra Sud e Nord. E, si sa, se non girano i camion, in Italia non gira il prodotto. Poi c’è la situazione drammatica delle aree terremotate, dove piove - anzi nevica - sul bagnato, aggiungendo dramma a dramma. Poco prodotto, i prezzi salgono. E’ il mercato, bellezza. Una legge economica che vale da quando il mondo è mondo e che neppure nelle economie dirigiste, socialiste e autarchiche è stata smentita. Infatti, anche quando negli ex paesi socialisti tentavano di imporre prezzi calmierati e amministrati, finiva che a quei prezzi il prodotto non si trovava mentre i prodotti riapparivano a prezzi ‘di mercato’ in un fiorente mercato nero parallelo (oggi succede in Venezuela, a Cuba, e in poche altre énclaves socialiste sopravvissute).
Ma da noi, che non siamo un paese socialista a economia dirigista, vale la legge del mercato: a parità di domanda, se manca il prodotto, i prezzi salgono. Punto. Invece…ecco che arrivano puntuali gli allarmi, le messe in guardia sullo speculatore della porta accanto (sempre anonimo, ovviamente). “Con i prezzi degli ortaggi che aumentano in media del 200% dal campo alla tavola è allarme speculazioni a causa del maltempo…”, diceva un comunicato dei giorni scorsi. In giro c’è aria di polemiche sulle zucchine d’oro, con le associazioni dei consumatori a indignarsi in tv chiedendo di calmierare i prezzi (e magari arriverà una puntata di ‘Porta a porta’ sull’argomento). Vogliamo smettere una buona volta ipocrisie e banalità, uscire dai luoghi comuni, dalle frasi fatte, dalle denunce a vuoto, e dire ad esempio dove si annidano gli speculatori e soprattutto chi sono gli speculatori. Le catene della Gdo? I grossisti dei Mercati generali? I fruttivendoli? Un conto è denunciare i danni drammatici che il maltempo ha fatto alle imprese agricole del Sud e chiederne il ristoro. Più che legittimo, doveroso. Ma se i prezzi dei prodotti in campagna (per chi li ha) vanno alle stelle, è un problema? In questi frangenti è possibile smascherare un equivoco: a chi giova l’aumento dei prezzi all’origine? Sicuramente al mondo produttivo, che soprattutto laddove è più aggregato, riesce a sfruttare a suo favore questa contingenza (che quasi sempre non dura molto, per le più varie ragioni).
Chi vuole tenere i prezzi più bassi possibile? Le catene della Gdo, i discount, le associazioni dei consumatori. E si sa che nella catena del valore, la produzione è quella che ci rimette di più. La Gdo replica al mondo produttivo: organizzatevi meglio, programmate e sarete meglio remunerati. Però sta di fatto che la formula: produrre grande qualità a prezzi bassi è una sorta di cappio al collo, quella che ha portato sull’orlo del fallimento migliaia di imprese ortofrutticole. Chi fa qualità giustamente chiede che venga remunerata. L’ortofrutta è un alimento basico nella dieta delle persone, ed è anche fonte di benessere e di qualità di vita (oltre che di risparmi nella spesa sociale per la sanità). I prezzi al dettaglio di frutta e ortaggi sono già oggi tra i più bassi in assoluto per i consumatori. E anche i prezzi del biologico sono diventati assai più abbordabili. Qualche centesimo al chilo in più o in meno fa la differenza fra la vita o la morte per migliaia di imprese e per garantire il futuro a tante nostre produzioni di eccellenza (e occupazione in molti territori dove non ci sono quasi mai altre risorse economiche). E allora diciamolo forte e chiaro: se i prezzi in campagna aumentano, non è una tragedia. Gli interessi dei produttori non coincidono con quelli della massa dei consumatori. La qualità va remunerata, i consumatori si devono abituare a riconoscerla e a pagarla. O no?