Il 13 dicembre u.s. l‘Accademia Italiana della Vite e del Vino ha organizzato, presso la Biblioteca Internazionale La Vigna di Vicenza, una Tavola Rotonda coordinata dal prof. Davide Gaeta dell’Università di Verona, in cui sono state discusse alcune importanti problematiche relative al nome del vitigno nei suoi aspetti vitivinicoli e di mercato. Dopo una breve introduzione effettuata dal dott. Paolo Giorgetti in rappresentanza del MIPAAF, gli accademici Antonio Calò, Angelo Costacurta, Cesare Intrieri, Antonio Rossi, Eugenio Sartori ed Anna Schneider hanno espresso la loro opinione su vari argomenti proposti dal Coordinatore, tra cui in particolare il significato del nome di vitigno, la definizione di vitigno autoctono, le nuove costituzioni e la loro identificazione e l’impatto del nome del vitigno sugli aspetti della commercializzazione. Le conclusioni sono state effettuate dal prof. Rosario di Lorenzo, dell’Università di Palermo.
I punti fondamentali della discussione hanno soprattutto riguardato il concetto di “vitigno”, con tutte le implicazioni che ne derivano, specificamente per i nomi dati alle nuove costituzioni, e la definizione di “vitigno autoctono italiano”, così come riportata nel cosiddetto “Testo unico della vite e del vino”, già approvato in via definitiva.
Sul concetto di “vitigno” e sul nome da assegnare alle nuove costituzioni derivanti da incrocio, sono emerse, come era da attendersi, due opposte posizioni:
- la prima ha affermato che per le nuove accessioni è scientificamente corretto utilizzare solo nomi di fantasia, cioè diversi da quelli dei genitori, in quanto trattasi appunto di vitigni “nuovi”;
- la seconda ha invece sostenuto come “utile” l’utilizzo del nome del genitore più “nobile”, completato da una aggettivazione. La maggioranza dei partecipanti ha però rifiutato questa seconda posizione, affermando che non è legittimo attribuire ad una nuova costituzione il nome di uno dei genitori, poiché ciò potrebbe indurre in errore gli utilizzatori, che potrebbero ritenere che si tratti di una mutazione e non di una nuova varietà ottenuta per incrocio. E’ stato fatto notare che questa confusione sta già verificandosi per alcuni vitigni recentemente ottenuti per ibridazione tra alcune importanti cultivar europee di V. vinifera ed altre varietà appartenenti a specie americane ed asiatiche. La confusione deriva dal fatto che ai nuovi ibridi è stato dato per esteso il nome del genitore “nobile” europeo, con la semplice aggiunta di un aggettivo. Potrebbe sembrare che tale scelta sia stata dettata dall’obiettivo commerciale di favorire la diffusione dei nuovi vitigni sfruttando la presenza di un nome importante.
Per quanto riguarda il problema dei vitigni “autoctoni italiani”, che secondo l’articolo 6 della legge del Testo Unico della Vite e del Vino, sono quelli appartenenti alla V. vinifera, “di cui è dimostrata l'origine esclusiva (sic) in Italia e la cui presenza è rilevata in aree geografiche delimitate del territorio nazionale".., i pareri dei partecipanti sono stati generalmente concordi nell’affermare che la possibilità di etichettare alcuni vini con il nome della varietà accompagnata dalla dicitura “vitigno autoctono italiano” creerà non pochi problemi sotto il profilo applicativo. Le ricerche degli ultimi anni hanno infatti dimostrato che non è facile stabilire con certezza l’origine nazionale di molti vitigni presenti anche da secoli nel nostro Paese, e che anzi in molti casi sussistono chiare evidenze di una loro provenienza storica dall’Asia, dalla Grecia o dai Balcani.
Quale prova potrà dimostrare in modo inconfutabile che una cultivar è stata creata in Italia? Quale Ente potrà certificare che un vitigno è “autoctono” senza timore di essere smentito dall’evoluzione degli studi filogenetici? L’inserimento corretto di un vitigno nella lista degli “autoctoni italiani” sarà quindi scientificamente possibile solo per quelle poche accessioni “moderne” di cui è noto il costitutore e di cui sono noti e verificabili i parentali con le opportune tecniche di analisi del DNA. La maggior parte dei numerosissimi vitigni "storici”, che da Nord a Sud formano da secoli la ricchezza del nostro patrimonio ampelografico, difficilmente potranno invece dimostrare l'origine italiana. Sul riconoscimento dei vitigni “autoctoni” si scateneranno contenziosi e speculazioni di ogni genere, che finiranno per rendere inapplicabile l’articolo 6 del testo unico. Come giustamente è stato suggerito dalla dott.ssa Schneider, volendo mantenere nella legge l’articolo 6, sarebbe stato molto più corretto sostituire il termine “autoctono” con la parola “tradizionale”, definendo come tale un vitigno sulla base delle attestazioni storiche e genetiche documentate della sua presenza in un territorio.
Al termine della Tavola Rotonda il prof. Rosario di Lorenzo ha sintetizzato l’importanza degli argomenti discussi e l’alto valore culturale del dibattito, che ha messo in evidenza l’importanza del nome del vitigno nella viticoltura da vino e su come il nome del vitigno debba essere correttamente tutelato e comunicato, sottolineando anche il valore delle critiche mosse all’articolo di legge sul “vitigno autoctono italiano”, la cui applicazione difficilmente riuscirà ad armonizzare tra loro gli interessi dei vari segmenti della filiera vitivinicola. Anche per questo il prof. Di Lorenzo ha concluso auspicando che i pareri espressi dai partecipanti possano essere presi in considerazione dalle autorità competenti per un più preciso inquadramento delle problematiche affrontate.