Chiude il 2016 con un paese sostanzialmente fermo (crescita neppure all’1%). E l’anno che viene resterà lì (secondo le stime più attendibili) sempre sotto l’1%. Per vedere qualcosa sopra l’1 per cento bisognerà aspettare il 2018. Se il Paese resta in affanno, l’agricoltura che fa? Nell’agosto scorso avevamo commentato ironicamente il coro di ottimismo che dal ministro Martina alla Coldiretti si levava a glorificare il ‘nuovo rinascimento’ che a loro parere stava vivendo il settore primario. Innovazione, opportunità di reddito, occupazione in crescita soprattutto tra i giovani, primati nell’export, e via dicendo. Un coro che abbiamo risentito negli ultimi giorni dell’anno, complice anche il ritorno in sella del ministro Martina e la necessità di dare lustro alle ultime iniziative legislative come la legge sul caporalato. Eravamo noi i soliti guastafeste? Altre voci serie e indipendenti si sono levate, tra cui quella del prof. Angelo Frascarelli che sull’Informatore agrario (n. 27/2016) ha scritto un editoriale dal titolo “Diciamoci la verità, l'agricoltura arranca e va rinnovata a fondo” in cui contestava con numeri e cifre l’ottimismo dilagante e concludeva: “L’agricoltura italiana cresce a ritmi più bassi rispetto agli altri Paesi europei, perde occupazione, il saldo commerciale peggiora e i redditi ristagnano”. E nella autorevole sede dell’Accademia dei Georgofili il prof. Franco Scaramuzzi ha celebrato i suoi 90 anni con un libro (Il tempo delle idee, Edizioni Polistampa) in cui disegna con lucido realismo i problemi del settore, contestando i populismi imperanti che disegnano una realtà che non c’è. Non contenti i colleghi dell’Informatore Agrario hanno deciso di realizzare sull’argomento un sondaggio on line tra i loro lettori per capire cosa pensano i diretti interessati, cioè gli agricoltori. Ebbene nel primo quesito si chiedeva agli intervistati se concordavano con l’ottimismo di politici e media. Oltre il 91% ha risposto negativamente dicendosi ‘non concorde’. Alla seconda domanda sulla redditività delle loro imprese l’85,5% ha risposto che dal 2005 al 2014 il loro reddito è nettamente peggiorato. La terza domanda sull’importanza dell’aggregazione ha visto oltre il 71% rispondere che l’aggregazione è “molto importante”. La sintesi di questo sondaggio è che gli agricoltori smentiscono nettamente il clima di ottimismo diffuso a piene mani da politici, media e Coldiretti mentre sono consapevoli che bisogna aumentare i livelli di aggregazione per avere migliori chances in futuro. Scriviamo queste cose non per il gusto di fare i bastian contrari a tutti i costi ma perché c’è un limite alle frottole che si raccontano alla pubblica opinione, e questo limite risiede nella decenza della verità, nella responsabilità di chi fa informazione di raccontare e interpretare cifre, dati e statistiche in maniera attendibile, senza altri interessi se non quello di dire la verità, appunto. Perché sappiamo che i problemi sono tanti, strutturali e difficili da risolvere, ma questo clima di fatuo ottimismo non aiuta, anzi.
Intanto il nuovo governo Gentiloni va. Fino a dove e fino a quando lo scopriremo solo vivendo, come dice la canzone. IL nuovo premier è persona perbene ma è difficile dire cosa farà il suo governo-fotocopia del governo Renzi. Ha prevalso la continuità. Il ministro Martina è rimasto in sella. Aveva acquisito varie benemerenze (gestione Expo e mediatore – lui che nasce come ‘bersaniano’ – tra la minoranza Dem e la maggioranza renziana). Grazie allo stesso principio è stato saggiamente riconfermato allo Sviluppo economico Carlo Calenda, un tecnico in grado di capire i bisogni delle imprese. Continuità anche per i sottosegretari del Mipaaf, dove sono stati confermati Olivero e Castiglione. Nel giudicare Martina a volte siamo stati severi. Non dimentichiamo mai da dove venivamo. Dall’indecente balletto dei 5 ministri agricoli in 5 anni, con alcuni personaggi francamente impresentabili. I due anni di Martina hanno segnato almeno un ritorno alla decenza. Se sul piano generale si può dire che l’agricoltura è tornata all’attenzione del governo, sul piano particolare dell’ortofrutta è giusto lamentare una scarsa attenzione al settore da parte di un ministro che si è speso tantissimo per il vino ma che non ha riservato uguale impegno alla seconda voce del nostro export agroalimentare, cioè frutta e ortaggi. In questo senso le lamentele ripetute a mezza voce dalle imprese del settore sono pienamente giustificate. Farsi vedere solo all’inaugurazione di Macfrut è troppo poco. Il sistema ortofrutta Italia – o quello che è – va in giro per il mondo e, ad esempio a Berlino, il ministro non dovrebbe mancare mai. Se poi è il ministro disattento o è il comparto che non sa fare lobby, è quesito tuttora aperto. Però, guardando i dati assai positivi dell’export di settore nel 2016, mi sento di dare un caloroso consiglio al ministro. Stia meno vicino alle organizzazioni professionali e più vicino ai problemi delle imprese, quelle che producono e quelle che esportano, perché sono una risorsa preziosa per il sistema Italia nel suo complesso, perché navigano contro vento, perché sfidano tutti i giorni la mala-burocrazia e la mala-logistica di questo paese, perché riuscire ad ottenere risultati così positivi in queste condizioni è già un miracolo. Questo è l’unico segnale che ci conforta, non le statistiche fasulle (o manipolate) sull’agricoltura italiana dei record e delle eccellenze. Auguri a tutti.
Da: Corriere Ortofrutticolo, dicembre 2016