L’attuale momento di una cucina risparmiosa e più riflessiva ha portato alle luci della ribalta le mai dimenticate polpette. Di origine nobile e al tempo stesso popolari sono le polpette, una de-nominazione che nel corso dei secoli è stata attribuita a preparazioni gastronomiche molto diverse, pur riferendosi tutte – ma in modo diverso – a un pezzo di polpa di carne variamente trattata, e da qui, polpetta da polpa, l’etimologia più probabile.
La polpetta è nobile e medievale. La polpita, pulpeta, pulpa vitulina o involtino di carne del Maestro Martino da Como (secolo XV) è un bocconcino formato da una fettina di carne, lunga e sottile, variamente condita, arrotolata e arrostita, più simile ai moderni saltimbocca alla romana. Ben diversa è la polpetta popolare che Pellegrino Artusi (secolo XIX) pone tra gli umidi, costituita da carne o lesso tritati, con aggiunta di prosciutto, uova e aromi, formando delle pallottole simili a un uovo, impanate e fritte, passate infine in teglia con salsa. Due grandi famiglie di polpette alle quali corrispondono proverbi diversi. Nella prima famiglia di nobile polpetta, che nasce nel buio medioevo è possibile inserire un veleno e da qui il detto di “polpetta avvelenata”, oggi meglio definita come “boccone avvelenato”. La seconda famiglia di polpette popolari richiede il “riposo della polpetta”, il tempo necessario per avere un’integrazione degli aromi e sapori durante le ultime fasi della loro preparazione e della loro cottura multipla. Nei diversi ricettari sono descritte polpette arrostite e poi di nuovo cotte in tegame o solo cotte in tegame nel sugo. Per queste polpette quasi infinite sono le carni usate, di ogni animale terrestre, uccelli e anche di pesci o solo di vegetali, non dimenticando le carni di ricupero e prima di tutte i lessi, come innumerevoli sono le aggiunte di leganti, primo tra tutti l’uovo, verdure, aromi e condimenti.
Le polpette fanno parte delle preparazioni di cucina che sfruttano le cotture in tegame in fasi multiple e che si ritengono d’origine longobarda, a lungo rimaste nella cucina popolare tradizionale italiana e poi passate alla cucina borghese. Ai longobardi è attribuita la tecnica, per lo meno originale ma utile per una conservazione nel tempo, nella quale la carne prima è lessata, poi fritta e infine insaporita in una cottura finale nel sugo, in umido o, come dicono i longobardi, in juscello. Le cotture multiple sono oggi quasi sparite, come quasi abbandonati sono il lesso e il bolli-to, mentre le polpette stanno riapparendo con vigore nella cucina degli avanzi, con termine nobilitante rinominata cucina del riuso, dove ogni tipo di polpette, grandi o piccole, confezionate con carni di ogni tipo, ma anche senza carne per un uso vegetariano e vegano, e con i più diversi condimenti stanno riacquistando un ruolo di primo piano.
Per le polpette è importante il nome che deve evocare una carne anche quando non è più nobile e perfino scomparsa, mentre quasi all’infinito cambia il contenuto e varia il modo di prepararle, secondo tradizioni soprattutto familiari o di qualche trattoria di secondo o terz’ordine. Se quasi infinita sono le varietà di polpette, per tipi di carne, ingredienti, condimenti e aromi, forma e modo di cottura, ognuna è identitaria di una tradizione e di una famiglia. Per questo, almeno una volta quando dominava la cucina familiare, l’unica e vera polpetta era quella della mamma o della nonna. Ognuno poteva in questo modo rivendicare la sua polpetta, quella della cucina di casa, e in questo modo la polpetta acquisiva un’anima identitaria, oggi in gran parte perduta.
Le polpette, con la loro storia di alti e bassi, nel corso di al-meno mille anni, stanno divenendo il simbolo di una rinascita di una cucina nella quale si danno identità e valore anche ai cibi più semplici, quando nulla va sprecato, in collegamento con i prodotti del territorio e le tradizioni locali. Per questo puoi dire “paesi che vai polpetta che trovi” o “ogni famiglia ha la sua polpetta”. Un’identità che non si ritrovano in preparazioni di carne tritata, cruda o sottoposta a una sola e rapida cottura, come le tartare, le svizzere, gli hamburger e via dicendo, con scarsa o nulla cultura e identità gastronomica.
Le polpette non sono mai scomparse, anche se hanno avuto solo transitorie eclissi, offuscate dalle mode del fresco, delle preparazioni delicate, delle cotture a bassa temperatura, dell’abolizione dei sughi e dell’invadente voga del crudo. Niente è più effimero delle mode e niente è più nuovo del passato, soprattutto quando questo ha una lunga, lunghissima storia e profonde radici identitarie, come appunto le polpette, oggi risorte a nuova vita, pronte a seguire i moderni e mai perduti gusti di cucina. Per le polpette, quindi, il progresso sta nel saper tornare all’antico, reinterpretandolo e facendolo diventare un classico. Un’affermazione riguardante la musica di Giuseppe Verdi, che anche in cucina non era l’ultimo arrivato, ma che forse, e nessuno può smentire, per le polpette aveva l’esperienza di giovinetto nell’umile casa di Roncole.