L’introduzione in un’area di organismi nocivi non nativi è fenomeno sempre più ricorrente, per lo più connesso alla grande e crescente massa di merci quotidianamente scambiate da un continente all’altro; anche gli spostamenti di persone possono avere un ruolo. Questa “unificazione microbica del pianeta” altro non è che un “effetto collaterale” della globalizzazione, e il primo esempio nella storia è forse riconducibile alla pandemia di peste nera che funestò l’Europa a metà del XIV secolo: l’agente era un batterio veicolato da una pulce che alternava il parassitismo su ratti e uomo, il tutto sbarcato inizialmente in Sicilia da una nave proveniente da Oriente. Se la diffusione su scala mondiale di materiali e individui (ma anche servizi, cultura, idee e innovazione, e non solo) è, per lo più, letta dai sociologi in termini positivi, non è possibile sottovalutare il rischio che di tali movimenti possano approfittare patogeni e parassiti per compiere migrazioni e invasioni biologiche altrimenti impossibili attraverso meccanismi naturali.
La Patologia vegetale è ricca di esempi drammatici di funghi, oomiceti, batteri e virus che hanno attraversato gli oceani, raggiunto nuovi areali, devastato le popolazioni vegetali ivi presenti e mutato il destino di popoli, con effetti gravissimi in termini economici, sociali, ecologici e paesaggistici. Alcuni esempi, tra le centinaia che hanno interessato l’Europa: la peronospora della vite e quella della patata, il cancro del cipresso e quello del castagno, il cosiddetto “cancro colorato” del platano, la grafiosi dell’olmo, il fire blight delle rosacee, la notissima Xylella fastidiosa su olivo.
Diversi sono i possibili casi che si presentano in natura. Tra questi: (a) il più frequente è il trasferimento di un agente nocivo da un’area all’altra; (b) la comparsa di nuove entità tassonomiche, sinora sconosciute alla comunità scientifica; (c) l’introduzione di ceppi o varianti genetiche più virulente di microrganismi preesistenti, eventualmente seguita da ibridazione con i ceppi locali; (d) la diffusione di nuovi vettori (es. insetti) più efficienti dei nativi; (e) l’ampliamento di areale di specie vegetali o l’adozione di nuove pratiche colturali; (f) le modificazione dei parametri climatici (“global change”). Fattore comune è lo stabilirsi di una nuova combinazione favorita dalla mancanza di co-evoluzione tra aggressore e vittima. Gli ecosistemi mediterranei, poi, presentano caratteri particolarmente favorevoli all’invasione di organismi nocivi alieni, quali la ricchezza in termini di biodiversità vegetale, la mitezza del clima nelle stagioni invernali, la densità di popolazione umana e la frequenza di movimenti turistici.
La prevenzione dell’ingresso (o, quantomeno, della fase di stabilizzazione, cioè la trasformazione di un immigrante in un invasore) di un organismo alieno dannoso alle colture o agli ecosistemi è prevalentemente affidata a un approccio di tipo preventivo, basato sulla esclusione, principio che può essere applicato a diverse scale geografiche (dalla continentale alla locale). In via subordinata, un intervento “di riserva”, qualora fallisse il precedente, è rappresentato dalla eradicazione, cioè l’individuazione e neutralizzazione degli individui infetti. Sono queste, peraltro, misure assai impegnative sotto il profilo pratico e di scarsa attrattività politica, essendo, di norma, basate sulla imposizione di provvedimenti di distruzione di piante infette, in assenza – di norma – di qualsivoglia misura di sostegno economico da parte del settore pubblico. Non pochi sono i fallimenti registrati in materia.
In epoca recentissima, almeno due sono le malattie sino a ieri ignote e balzate tragicamente all’attenzione del mondo forestale per i loro effetti su componenti pregiate degli ecosistemi: Phytophthora ramorum e Hymenoscyphus fraxineus. Nel primo caso si parla di un oomicete segnalato alla fine del secolo scorso quasi contemporaneamente in centro-Europa (su viburno e rododendro, ospiti sui quali provoca disseccamento dei germogli) e in California (specialmente su querce, di cui è responsabile della “morte improvvisa” – “Sudden Oak Death” – con formazione di lesioni cancerose ‘piangenti’ sul tronco). In Gran Bretagna è attribuita a P. ramorum la estesa moria (già mezzo milione gli individui positivi all’infezione) del larice giapponese (Larix kaempferi), albero importante per produzione di legno. In Europa sono già alcune decine le piante arboree risultate infettabili: tra queste faggio, castagno, ippocastano, leccio e altre querce. Alcune peculiarità rendono questo microrganismo distinto dalle altre Phytophthorae di interesse fitopatologico: così, mentre le congeneri specializzate sul parassitismo fogliare (prima tra tutte P. infestans, l’agente della peronospora di patata e pomodoro) presentano un campo di ospiti rigorosamente ristretto, la ramorum, invece, attacca moltissime specie (quasi un centinaio, comprese quelle risultate suscettibili in prove di laboratorio). La movimentazione di arbusti ornamentali è la causa fondamentale della sua diffusione geografica e sono almeno già due i casi di intercettazioni da parte dei servizi fitosanitari di Paesi europei di soggetti infetti spediti da vivai italiani (uno piemontese e l’altro toscano); entrambe le situazioni sono state risolte con la completa bonifica dei lotti di provenienza, ma l’attenzione rimane a livelli elevatissimi.
Anche Hymenoscyphus fraxineus (un ascomicete, il cui anamorfo è Chalara fraxinea) è un paradigma di organismo nocivo di recentissima segnalazione. La storia comincia in Polonia, negli anni ’90, e riguarda un deperimento (necrosi fogliari, disseccamento del picciolo e dei germogli), seguito da moria (‘dieback’) del frassino maggiore (Fraxinus excelsior), uno dei più maestosi tra gli alberi originari del nostro continente. In breve sono stati coinvolti decine di Paesi europei, dalla Scandinavia all’Italia (con focolai in Friuli, Veneto e Toscana), a interessare l’intero areale di distribuzione della vittima. La malattia ha attivato campagne di sensibilizzazione della popolazione, stimolata a segnalare casi infetti e, soprattutto, situazioni naturali nelle quali sia possibile individuare fenomeni individuali di resistenza, indispensabili per la programmazione di progetti di miglioramento genetico del frassino.
E’ inevitabile che la materia sia oggetto di attenzione a livello politico. Con l’approvazione da parte del Parlamento europeo (26 ottobre u.s.), inizia il conto alla rovescia per l’applicazione delle nuove norme UE per proteggere l’agricoltura e gli ecosistemi dalla diffusione di organismi nocivi. Il regolamento dovrebbe entrare in vigore già nel 2017, seppur con un periodo di transizione di tre anni prima della piena applicazione. Tra le principali novità, la possibilità di imporre divieti temporanei per l’ingresso nell’UE di piante (o materiale vegetale) potenziali ospiti di parassiti e patogeni. È prevista la creazione e l’aggiornamento da parte degli Stati membri di piani di emergenza e l’istituzione di programmi di indagini per l’individuazione tempestiva di casi pericolosi. E’ pure previsto un perfezionamento del meccanismo che assicura compensazioni finanziarie per i produttori costretti a eradicare le piante per la presenza di determinate infezioni.
(L’articolo è una sintesi dell’intervento presentato dal Prof. Giacomo Lorenzini alla Giornata di studio sulla tematica della protezione delle aree naturali dalle invasioni di specie aliene, organizzata a Pisa il 13 ottobre 2016 dalla Sezione Centro-ovest dell’Accademia dei Georgofili.)
Foto: cancri su rametti di frassino indotti da Chalara (Andrej Kunca, National Forest Centre - Slovakia, Bugwood.org )