Le politiche sui biocombustibili sono spesso motivate da preoccupazioni relative alla sicurezza energetica, alla protezione ambientale e allo sviluppo agricolo e tali interazioni, da un punto di vista economico, possono risultare assai complesse. Quando ci si propone di impostare un’analisi dei costi-benefici delle policy sui biocarburanti in relazione alla policy su energia, ambiente e agricoltura una delle ragioni di complessità consiste proprio nel fatto che esistono delle "intricate interrelazioni tra mercati di energia, commodities e le mutate conseguenze ambientali ".
Nel nostro Paese non mancano degli esempi di buone pratiche nelle filiere agro-energetiche, ma è ancora difficoltoso parlare di casi di successo che siano veramente tali sotto tutti i punti di vista. Questo perché sussistono alcune criticità del sistema biomasse, riconducibili in particolare ad alcuni aspetti, quali la scelta delle più opportune filiere “virtuose”, la difficoltà di aggregazione tra i diversi operatori della filiera, eccesso di normative, procedure autorizzative diversificate tra istituzioni pubbliche e così via. In altre parole mancano ancora delle normative chiare e che diano delle prospettive.
La rivisitazione critica delle più importanti risorse erbacee (girasole, colza e altre brassicacee, sorgo, mais, canna da zucchero, ecc.), arboree (palma, jatropha) e forestali (fustaie, cedui, vegetazione arborea fuori foresta) comporta di dover dedicare specificatamente alla produzione di bioenergia delle risorse primarie accanto a sottoprodotti residuali o addirittura ai rifiuti (es. oli esausti di friggitoria). Un sguardo oltre confine porta a considerare che in America si realizza una produzione annua di 1,3 milioni di t con un consumo interno di 600.000 t di etanolo. Per contrastare questa potenziale invasione i dazi europei non sono sufficienti dato che il sussidio è pari a 300 $/t, senza considerare le triangolazioni che si fanno per eludere i dazi stessi. L’Argentina produce 2 milioni di t con un consumo interno di 600.000 e un export di 1,6 milioni di biocarburanti. Il dazio argentino ad esempio sull'olio grezzo all'esportazione è collocato al 32%, mentre quello per l'esportazione di biodiesel è del 20%. Così il vantaggio per l'export del biodiesel raffinato è evidente (120 $/t). Se si considera che per la trasformazione dell'olio in biodiesel sono necessari 130 $/t, ecco che si realizza un mercato sleale. Venendo all’Europa, la produzione interna ammonta a 9,5 milioni di t/anno, mentre i consumi si attestano sui 12 milioni di t. Sul totale, la Germania e la Francia coprono ciascuna il 20% dei consumi, la Spagna il 13, la Gran Bretagna e l'Italia il 10 e il 9%, rispettivamente. Una criticità del recente decreto legislativo è rappresentata dall'obiettivo fissato al 5% per il 2014, non ne fissa uno al 2015, mentre la direttiva comunitaria conferma l'obiettivo del 10% al 2020. La Cina dal canto suo pare sia pronta a riversare sul mercato internazionale qualcosa come 1,5 milioni di tonnellate di biodiesel da olio di friggitoria. Un prodotto non tracciato, mentre in Italia è attivo il Sistri(*), un sistema impari che comporta dei costi aggiuntivi per i produttori.
Esiste inoltre il problema della competizione per l'accesso ai terreni tra le colture
food, il biogas, il fotovoltaico e le biomasse. Competizione che ha rallentato la nascita di una possibile filiera corta dei biocarburanti. Il contingente defiscalizzato non ha prodotto i risultati attesi perché l'uso alimentare era redditizio e sono state privilegiate altre destinazioni. La filiera agricola non può permettersi di rinunciare a priori all'ipotesi futura dei biocarburanti. Tre sono gli elementi in gioco: - i biocarburanti di prima generazione prodotti in Paesi extra europei in condizioni favorevoli ed alta efficienza (in primis l'etanolo da canna in Brasile); - la scarsa efficienza e la concorrenza con il mercato
food delle produzioni europee e statunitensi da mais; – la prospettiva dei biocarburanti di seconda e terza generazione. Ma quello che a nostro parere è più deprecabile è che il settore primario italiano ha perduto l’occasione di avviare una chiara politica di orientamento in materia già 10 anni or sono.
La Ue non può soddisfare solo un terzo della propria domanda, mentre per il resto bisogna ricorrere alle importazioni e, per garantirsi da una concorrenza sleale, ci sono i criteri di sostenibilità. Bisogna puntare sulla cooperazione industriale con paesi terzi per la produzione destinata alla Ue e “in questo senso l'Africa potrebbe essere adatta per insediare delle coltivazioni dedicate”. Circa la metà del prodotto importato per la verità è stato importato dagli stessi produttori italiani di biocarburanti, sottolineano al MiPAAF, e per quanto concerne la concorrenza sleale, servirebbe “un intervento europeo”, mentre “è evidentemente velleitario affrontarlo a livello di singolo Stato membro”. Per pensare al futuro dunque ci deve essere un presente.
(*) Il SISTRI (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti) nasce nel 2009 su iniziativa del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nel più ampio quadro di innovazione e modernizzazione della Pubblica Amministrazione per permettere l'informatizzazione dell'intera filiera dei rifiuti speciali a livello nazionale e dei rifiuti urbani per la Regione Campania. Il Sistema semplifica le procedure e gli adempimenti riducendo i costi sostenuti dalle imprese e gestisce in modo innovativo ed efficiente un processo complesso e variegato con garanzie di maggiore trasparenza, conoscenza e prevenzione dell'illegalità. Benefici ricadranno anche sul sistema delle imprese. Una più corretta gestione dei rifiuti avrà, infatti, vantaggi sia in termini di riduzione del danno ambientale, sia di eliminazione di forme di concorrenza sleale tra imprese, con un impatto positivo per tutte quelle che, pur sopportando costi maggiori, operano nel rispetto delle regole.
(foto: colza dall'archivio dei Georgofili)
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