L’ambizioso programma mirato al ripristino della natura forgiato dall’Unione Europea con il Regolamento (UE) 2024/1991 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 giugno 2024, ispirato all’obiettivo quasi utopistico di arginare la deriva, attestata da report dai toni sempre più drammatici della Commissione e della Corte dei Conti, della perdita e del declino della biodiversità, habitat e specie sul territorio europeo, non poteva escludere dal suo ampio raggio di azione il ripristino degli ecosistemi urbani. Sotto il profilo scientifico è infatti ormai da tempo consolidata la qualificazione del verde urbano, in tutte le sue componenti chiaramente enucleate dalle Linee guida per la gestione del verde urbano e prime indicazioni per una pianificazione sostenibile, redatte dal Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, tra le Nature Based Solutions che concorrono a limitare le emergenze ambientali dalle quale le città europee (e non solo) sono indistintamente colpite: dall’inquinamento dell’aria, a quello acustico, ai fenomeni della c.d. isola di calore, tutti generati da uno scellerato esponenziale consumo di suolo, potenziati dagli effetti nefasti del climate change, in una sorta di perverso gioco di reciproche interconnessioni in cui l’uno è causa ed effetto dell’altro, fino ad incidere in maniera pesante sulla stessa salute dei cittadini. E tale ruolo del verde urbano è espressamente riconosciuto dalla lunga teoria di strumenti di Soft Law, comprese le diverse Strategie unionali, sia attuative del Green Deal che più risalenti, alle quali il Regolamento espressamente dichiara di dare attuazione. Nei suoi Considerando il Regolamento espressamente motiva il suo intervento in materia di ecosistemi urbani sulla base della considerazione che questi ultimi, che rappresentano circa il ventidue per cento della superficie terrestre dell'Unione ed ospitano al loro interno la maggioranza dei cittadini europei, costituiscono, come gli altri ecosistemi destinatari di misure di ripristino, habitat importanti per la biodiversità, in particolare per le piante, gli uccelli e gli insetti, compresi gli impollinatori, oltre a fornire molti altri servizi ecosistemici essenziali, tra cui la riduzione e il contenimento del rischio di catastrofi naturali, ad esempio per le inondazioni e gli effetti «da isole di calore urbano», il raffrescamento, le attività ricreative, la depurazione dell'acqua e dell'aria, nonché la mitigazione e l'adattamento ai cambiamenti climatici.
Ma che cosa intende il Regolamento sul ripristino della natura per ecosistema urbano, inquadrato come tipologia di quella categoria più generale di ecosistema definito dal suo art. 3 come complesso dinamico di comunità di piante, animali, funghi e microrganismi e del loro ambiente non vivente che interagiscono formando un'unità funzionale che comprende tipi di habitat, habitat di specie e popolazioni di specie? Il Regolamento offre la definizione di ecosistema urbano articolandola in due parametri di riferimento diversi, destinatari di misure di ripristino coordinate ma differenziate: gli spazi verdi urbani, intesi come superficie totale di alberi, di boscaglie, di arbusti, di vegetazione erbacea permanente, di licheni e di muschi, di stagni e di corsi d'acqua presente nelle città, nelle piccole città e nei sobborghi, e la copertura della volta arborea urbana, definita come la superficie totale di copertura arborea nelle città, nelle piccole città e nei sobborghi. Entrambi questi parametri sono calcolati sulla base dei relativi dati forniti dal servizio di monitoraggio del territorio di Copernicus nell'ambito della componente Copernicus del programma spaziale dell'Unione, istituito dal regolamento (UE) 2021/696, e, se disponibili per lo Stato membro interessato, di altri opportuni dati supplementari forniti dallo Stato medesimo.
Come interviene il Regolamento per ripristinare gli ecosistemi urbani?
Anzitutto il Regolamento affida agli Stati membri il compito di determinare e mappare le zone di ecosistemi urbani in relazione a tutte le loro città, piccole città e sobborghi. Per il ripristino di tali zone le misure di ripristino si dipanano in due momenti che coinvolgono entrambi l’impegno diretto degli Stati membri ad intervenire entro i binari stretti di una tempistica prefissata. E così, in un primo step, entro il 31 dicembre 2030, gli Stati dovranno provvedere affinché non si registri alcuna perdita netta della superficie nazionale totale degli spazi verdi urbani né di copertura della volta arborea urbana nelle zone di ecosistemi urbani rispetto al 2024, con possibilità per gli stessi Stati di escludere da dette superfici nazionali totali le zone di ecosistemi urbani in cui la quota di spazi verdi urbani nei centri urbani e negli agglomerati urbani supera il quarantacinque per cento e la quota di copertura della volta arborea urbana supera il dieci per cento.
In un secondo step, a partire dal 1° gennaio 2031, gli Stati membri dovranno conseguire nelle zone di ecosistemi urbani una tendenza all'aumento sia della superficie nazionale totale degli spazi verdi urbani, anche mediante l'integrazione di questi ultimi negli edifici e nelle infrastrutture, sia della copertura della volta arborea urbana: tendenze, entrambe, che devono essere misurate ogni sei anni a decorrere dal 1° gennaio 2031, fino al raggiungimento di quel livello soddisfacente che gli stessi Stati sono chiamati a stabilire sulla base di evidenze scientifiche aggiornate. L'aumento dello spazio verde urbano è considerato nell’ottica del Regolamento un parametro importante per misurare l'aumento della capacità degli ecosistemi urbani di fornire servizi ecosistemici essenziali; a sua volta l’incremento della copertura vegetale in una determinata area urbana agevola il rallentamento del deflusso delle acque, riducendo così il rischio di inquinamento dei fiumi dovuto alle tracimazioni causate da piogge violente, e contribuisce a contenere le temperature estive, rafforzando così la resilienza climatica, oltre ad offrire alla natura uno spazio supplementare per prosperare, oltre a migliorare in molti casi la salute dello stesso ecosistema urbano; a loro volta, ecosistemi urbani sani sono essenziali per favorire la salute di altri ecosistemi europei fondamentali, ad esempio grazie al fatto di collegare le aree naturali situate nelle zone rurali circostanti, di migliorare la salute dei fiumi lontano dalla città, di offrire un rifugio e un luogo di riproduzione per le specie di uccelli e impollinatori legate agli habitat agricoli e forestali, nonché di fornire habitat importanti per gli uccelli migratori.
A questo pacchetto di misure di ripristino si aggiungono poi quelle contemplate dall’art. 13 del Regolamento, che, al fine di aumentare la connettività ecologica, impongono agli Stati membri l’obbligo di contribuire all'impegno di piantare almeno tre miliardi di nuovi alberi entro il 2030 a livello dell'Unione, nella misura in cui tale obbligo dovrà essere adempiuto oltre che con l'imboschimento sostenibile, il rimboschimento sostenibile e l'impianto di alberi sostenibile, anche attraverso l'aumento degli spazi verdi urbani.
Obblighi stringenti dunque quelli posti dal Regolamento agli Stati membri: c’è da chiedersi allora, se la natura giuridica dello strumento utilizzato dall’Unione Europea per ripristinare la Natura, il Regolamento, che, come noto, ha diretta efficacia vincolante all’interno degli Stati membri, possa auspicabilmente dare una svolta alla sonnolenta politica legislativa nazionale sul verde urbano, che valendosi della più volte da me stigmatizzata assenza di una legge nazionale sul consumo di suolo, si è assopita su una tendenziale passiva sordità alle sollecitazioni della politica internazionale e unionale a potenziare la forestazione urbana, concedendo così un inaccettabile assist alle amministrazioni comunali per continuare a cementificare le nostre città.