I Greci che, tra l’ottavo e il quinto secolo avanti Cristo, fondarono numerose colonie nell’Italia meridionale e in Sicilia, pur conservando una notevole autonomia, mantennero con la madre patria stretti rapporti politici nonché intensi scambi commerciali e culturali. Una interessante testimonianza di quest’ultimo legame si trova in un tempietto del santuario di Delfi dove era presente un fregio che racconta la Gigantomachia sull’Etna, il mitico scontro tra gli dei e i giganti che abitavano il vulcano. Il pregevole tempietto, noto come Tesoro dei Sifni, era un edificio distilo con due cariatidi e un fregio narrativo continuo che riportava temi diversi in ognuno dei quattro lati; su quello nord era raffigurata una Gigantomachia, nella quale giganti etnei vennero tutti sterminati dagli dei, tranne uno che viene citato da fonti diverse come Euristeo, Encelode o Aristeo. Sua madre Gea lo trasformò in uno scarabeo e lo fece fuggire. La Gigantomachia era uno dei miti leggendari più antichi e rappresentava l’ultima fase della Cosmogonia, ovvero del processo di costruzione di un cosmo armonico, che si affermò con gli scontri tra le intelligenze divine dell’Olimpo e la forza bruta dei Giganti, che furono sconfitti e lasciarono spazio all’universo ordinato a cui Zeus ambiva, intendendo affermare la giustizia attraverso l’equilibrio e l’armonia. La Gigantomachia viene anche interpretata come la lotta tra le barbare popolazioni indigene e i coloni Achei e Dori portatori di civiltà e cultura superiori.
Sull’Etna che era noto in tutto il Bacino mediterraneo soprattutto per la sua incessante attività eruttiva, destavano curiosità anche quegli strani insetti, identificabili con gli Scarabei stercorari, che, secondo Aristofane, si nutrivano di escrementi e che erano oggetto di culto in Egitto, dove erano considerati la forza che muoveva il sole attraverso il cielo, allo stesso modo con il quale facevano rotolare sul suolo una pallottola di sterco. Essi simboleggiavano il sorgere del sole e si credeva che, come il dio Atun aveva generato i propri figli senza bisogno di una femmina, così gli scarabei, ritenuti tutti di sesso maschile, si riproducevano iniettando lo sperma nella palla di sterco. Tali coleotteri, per le notevoli dimensioni e il rumoroso volo, ispirarono le opere teatrali del siracusano Epicarno (Vl-V secolo a.C.) e di Aristofane (450-385 a.C.), due famosi commediografi greci che hanno contribuito ad alimentare il mito degli scarabei giganti. Secondo Epicarno, considerato l’inventore della Commedia, questi insetti, che erano dotati di ali con le quali potevano volare “per l’aria a guisa di uccelli”, venivano cavalcati dai Pigmei in combattimento. Aristofane nella Commedia comica “La Pace” scrive che il pacifista Trigeo per conferire con Giove, utilizzava come mezzo per volare uno scarabeo cui prestava amorevoli cure al punto da fare esclamare a un suo servo: ”si è portato a casa un enorme scarabeo dell’Etna e lo accarezza come fosse un puledro”.
Il mito è arrivato fino a nostri giorni anche grazie alla moneta nota come “Scarabeo dell’Etna”, coniata a Catania da Ierone tra il 470 e il 450 a.C., che su una faccia reca la scritta Aitna e il profilo del capo di un Sileno sotto il quale è riconoscibile uno scarabeo. L’archeologo del CNR Fabio Caruso riporta che tale pregevole moneta faceva parte della collezione del padre dello scrittore Giovanni Verga, che la vendette a Londra e che venne poi donata dagli eredi del compratore alla Bibliotéque Royale de Belgique di Bruxelles dove è attualmente custodita.