La coltivazione del fico di Cosenza tra tradizione e innovazione

di Rocco Mafrica e Angelo Rosa
  • 06 November 2024

Introdotto probabilmente in epoca greca, il fico ha trovato in molte aree dell’Italia meridionale condizioni pedo-climatiche ideali per il suo sviluppo. In particolare, in Calabria la coltivazione del fico risulta intimamente connessa alle tradizioni agricole di questa regione. Per tantissimo tempo i fichi, insieme alle castagne hanno rappresentato la principale fonte di carboidrati delle popolazioni calabresi, in particolare di quelle appartenenti a ceti meno abbienti. Pur mantenendo la prerogativa di importante fonte alimentare, peculiarità conservata fino alla metà del secolo scorso, nel corso del tempo, la coltivazione e il commercio di fichi, in particolare di quelli essiccati, è divenuta anche un’importante opportunità di guadagno per molti agricoltori calabresi, soprattutto per quelli dei territori della provincia di Cosenza. In particolare, lo sviluppo di un’attività economica fortemente legata alla trasformazione del prodotto, e in primo luogo alla produzione dei fichi essiccati, ha consentito alla fichicoltura cosentina, di acquisire negli anni una specifica identità produttiva, con tratti peculiari e una tradizione colturale e culturale che dura da oltre 500 anni.
Risalgono, infatti, alla metà del XVI secolo le prime testimonianze scritte su questa particolare attività produttiva, quando lo storico bolognese Leandro Alberti nella sua opera “Descrittione di tutta Italia” (1550), cita, anche se sommariamente, i fichi come una delle colture più diffuse della provincia di Cosenza. E’ comunque certo, che tra il XVI ed il XVII secolo, oltre che per l’autoconsumo, una parte significativa di questa produzione venisse anche destinata al mercato e che i fichi cosentini erano conosciuti e apprezzati anche al di fuori dei confini regionali. A questo riguardo ne offre una preziosa testimonianza lo storico Giovanni Fiore da Cropani che sulla sua opera “Della Calabria Illustrata” (1691) così riporta: «Nientemeno più prezioso, e per la copia e per la perfezzione egli è il raccolto delli Fichi. Principia egli nel mese di Giugno, e si allunga fin all’altro di Decembre». L’Autore, oltre che di alcuni aspetti relativi alla coltivazione ed alla notevole ricchezza del patrimonio varietale autoctono, scrive anche dell’esportazione dei fichi calabresi verso le più importanti città dell’Italia meridionale e perfino verso Malta. Nel corso del XVIII secolo, la coltivazione del fico in provincia di Cosenza si allarga ulteriormente, tanto che nel 1792 l’economista e intellettuale napoletano Giuseppe Maria Galanti, nel corso di un viaggio in Calabria, attraversando il territorio cosentino, sul suo “Giornale di viaggio in Calabria” riporta “che i fichi stavano lentamente prendendo il posto dei gelsi”, a testimoniare il declino della sericoltura, e che quella dei fichi rappresentava una delle principali “estrazioni della provincia” e che in quegli anni “olio, fichi ed uve passe, qualche volta grano” erano le uniche esportazioni che giungevano “fuori dal Regno”. Informazioni più dettagliate sulla produzione, essiccazione e commercializzazione dei fichi si rinvengono in alcune relazioni e note economiche redatte negli anni a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo. Particolarmente interessante a questo riguardo è la "Statistica murattiana del Regno di Napoli" del 1812, dalla quale si apprende come i fichi di Cosenza fossero già allora oggetto di esportazione fuori dal Regno delle Due Sicilie. Ulteriori informazioni relativamente all’industria dei fichi essiccati di Cosenza provengono dagli atti dell’Inchiesta Jacini del 1877, in cui vengono riportate alcune descrizioni significative: “[…] Ciò che merita considerazione è l’industria dei fichi secchi. I fichi si raccolgono appassiti e si fanno asciugare al sole spandendoli sopra graticci; […] appena asciutti si vendono agl’incettatori, che li comprimono in casse di legno di castagno e li esportano. Ma oltre alla predetta preparazione, i fichi si sogliono ancora confezionare in diversi modi, infilzandoli o facendo una specie di treccia, formando dei piccoli globi avvolti nelle foglie della stessa pianta, ed accomodandoli altresì a guisa di stelle. Spesso si usa imbottire i fichi con noci e mandorle, con pezzettini di corteccia di cedro o di polveri aromatiche. […] L’industria dei fichi secchi alimenta una ricca esportazione e si estende sempre più per nuove piantagioni che annualmente si fanno […].” Per la qualità si afferma che “[…] tale prodotto sarebbe superiore a quella della Grecia e della Spagna se si conoscessero i modi di accomodarla, onde presentarla al commercio […]”. L’importanza della coltivazione del fico in provincia di Cosenza viene confermata anche da una successiva inchiesta agraria, pubblicata nel 1909 in cui si riporta che: “[…] il mercato più importante di consumo è Marsiglia, dove ogni casa esportatrice ha un sensale che la tiene al corrente dell’andamento del mercato, della richiesta maggiore o minore dei prezzi. A Malta si inviano le trecce o i filari comprati dai negozianti già belli e fatti […]”. Quanto riportato su queste due inchieste, indica chiaramente che all’inizio del XX secolo la fichicoltura in provincia di Cosenza, rappresentava ormai un’importante attività economica, con cospicue quantità di prodotto che annualmente venivano esportate all’estero, soprattutto in Francia ma anche nelle Americhe. In questi anni nascono, altresì, le prime aziende di lavorazione e trasformazione dei fichi essiccati, alcune delle quali continuano ad essere operative ancora oggi. Altre testimonianze riguardo a questa produzione, arrivano dal Prof. Luigi Alfonso Casella, che nel 1915, in una pubblicazione dal titolo “Le Industrie nella provincia di Cosenza” parla estesamente della produzione dei fichi essiccati in questa parte della Calabria, citando le diverse modalità di lavorazione del prodotto ed evidenziando, altresì, il ruolo fondamentale ricoperto dalla varietà “Dottato” per il raggiungimento degli alti standard qualitativi dei fichi essiccati cosentini: “[…] Si hanno fichi di varietà differenti, oltre quelli più adatti per l’essiccazione, ma lo Ottato (l’optato o desiderato) ha più importanza per estensione di coltura e di produzione. […] . Il ruolo strategico di questa varietà nell’industria dei fichi essiccati cosentini viene poi sottolineato, qualche anno dopo, anche dal Prof. Domenico Casella, che nel 1933 nella pubblicazione “Il Dottato nell’ industria dei fichi secchi” così scrive: “[…] Il fico “Dottato” od “Ottato”, “Optato” , cioè desiderato, è la sola varietà che alimenta l’industria e il commercio dei fichi secchi nella provincia di Cosenza – Quivi si hanno estesi ficheti specializzati a solo Dottato […]” Altre informazioni sull’argomento vengono fornite da Roberto Cerchiara, tecnico agronomo della Cattedra ambulante di agricoltura della provincia di Cosenza, che su un manuale sulle colture arboree e le industrie pubblicato nel 1933, e su cui viene dedicato un ampio spazio alla coltivazione dei fichi, così riporta “[…] La produzione di fichi freschi nella provincia di Cosenza è di q.li 145.000 che essiccati si riducono a 44.000. […]”. In questi anni la produzione di fichi secchi in questi territori della Calabria assume una importanza tale che dal 1934 al 1938 il Consiglio ed Ufficio Provinciale delle Corporazioni di Cosenza ne inserisce la specifica voce in una pubblicazione quindicinale dal titolo “Listino dei prezzi all’ingrosso”, che di fatto per l’epoca rappresentava un vero e proprio borsino merci, in cui ad ogni prodotto, ripartito in classi di qualità, veniva attribuito un determinato prezzo di mercato. In particolare, relativamente ai “fichi secchi” l’ufficio suddetto realizzava, alla fine di ogni campagna di commercializzazione, un riepilogo sui prezzi medi, nominali, approssimativi pagati dagli incettatori ai produttori per merce resa franco magazzino. Nel 1942, l’ISTAT censisce per la provincia di Cosenza, una superficie investita a fico in coltura specializzata di 14.053 ettari pari al 95% della superficie specializzata a fico regionale (14.805 ha) e al 28% della superficie nazionale (50.133 ha). Mentre in coltivazione secondaria la provincia di Cosenza possedeva il 33% sul dato regionale e il 2,5% su quello nazionale. Tali superfici si manterranno pressoché costanti fino ai primi anni ’60 del secolo scorso.  Negli anni successivi, in seguito allo spopolamento delle campagne, con l’emigrazione delle genti dalle aree rurali verso i centri urbani, in particolar modo versi quelli industrializzati dell’Italia settentrionale, per la coltivazione del fico in provincia di Cosenza, inizia un periodo di graduale ed inesorabile declino.  Alla fine degli anni ’90 dei 14.000 ha di superficie coltivata a fico presenti alla metà del secolo scorso in provincia di Cosenza, rimanevano poco più di 350 ha. Tuttavia, proprio in questi anni, di fronte al reale rischio della scomparsa della filiera e con essa di secoli di storia e tradizione, su iniziativa di alcuni operatori del settore, consapevoli della potenzialità del prodotto, con il supporto di alcuni Enti pubblici, vengono messe in atto una serie di iniziative che permettono di rivitalizzare l’intera filiera. Nel giro di pochi anni si assiste ad un’autentica “rinascita” della fichicoltura cosentina, con un significativo aumento delle superfici coltivate. Nel giugno del 2011, dopo un iter durato anni, la Comunità Europea riconosce ai fichi essiccati prodotti in provincia di Cosenza la Denominazione di Origina Protetta: “Fichi di Cosenza”. Oltre alla storia, ciò rende peculiare questa produzione, e che indubbiamente è stato l’”elemento chiave” per ottenere il riconoscimento della DOP, è che essa di fatto rappresenta il risultato di una perfetta combinazione alchemica tra l’ambiente di coltivazione, la varietà ed i fattori antropici. Riguardo al primo elemento, i territori della provincia di Cosenza, ed in modo particolare quelli collinari delle aree interne, rappresentano degli ambienti particolarmente vocati alla coltivazione del fico. La caratteristica di questi ambienti di avere primavere abbastanza miti ma comunque sufficientemente piovose consente alle piante di fico di avere una regolare attività vegeto-produttiva, senza andare incontro a particolari stress, anche quando esse vengono gestite in regime di asciutto, consentendo così ad esse di estrinsecare nel modo migliore le loro potenzialità produttive. Le estati calde, ma comunque senza particolari eccessi termici, unitamente ad una ventilazione moderata consentono, ai frutti ormai maturi, anche una parziale disidratazione sulla pianta, rendendo più agevole il processo di essiccazione. Queste peculiarità ambientali, che difficilmente si trovano in altre zone dell’Italia meridionale, permettono di ottenere frutti molto dolci, morbidi, pastosi al palato e di una colorazione chiara anche dopo l’essiccazione. Relativamente alla varietà, benché il “Dottato” sia coltivato in altre zone della Penisola e del Mondo, il legame indissolubile creatosi tra questa varietà e il territorio cosentino rappresenta un unicum, in cui entrambe le componenti vedono esaltate le loro caratteristiche. Infatti, i forniti del “Dottato” risultano particolarmente adatti all’essicazione. Essi si caratterizzano per avere una buccia molto sottile, che impedisce che essa diventi coriacea dopo l’essicazione. L’ostiolo resta chiuso o semichiuso, ostacolando in questo modo l’ingresso di insetti e preservando i frutti anche dall’insorgenza di muffe. I frutti essiccati presentano una colorazione bionda dorata, un sapore particolarmente dolce, quasi mielato e un’ottima conservabilità. Infine, i siconi possono svilupparsi anche per partenocarpia, consentendo agli stessi di avere acheni molto piccoli e quindi poco fastidiosi al palato. Per quanto concerne, infine, gli aspetti antropici, le antiche tradizioni colturali del fico in questi territori hanno permesso nel corso del tempo agli operatori di “affinare” la tecnica di coltivazione del fico e di trasformazione dei suoi frutti, con la messa a punto di strategie in grado esaltare e tipicizzare questa produzione. Un esempio su tutti è rappresentato non solo dalla scelta di non caprificare i fiori del “Dottato”, ma addirittura di favorire esclusivamente lo sviluppo partenocarpico dei suoi frutti, con l’eliminazione sistematica dei fichi selvatici che nascono in prossimità dei frutteti, al fine di evitare che la blastofaga possa effettuare la caprificazione in modo spontaneo. Pratica quest’ultima unica nel suo genere in tutto il Bacino del Mediterraneo, come testimoniato dal Ravasini nel lontano 1911 nella sua opera “Die Feigenbäume Italiens und ihre Beziehungen zu einander”.  L’aspetto antropico assume poi grande rilevanza anche riguardo al processo di essiccazione e trasformazione dei fichi. Tradizionalmente in questi territori i frutti destinati all’essiccazione vengono lasciati sulla pianta fino a che non raggiungano un avanzato grado di disidratazione. Abbastanza maniacale e certosina è anche l’attenzione che i coltivatori cosentini riservano al processo di essiccazione dei fichi. Quello tradizionale prevede, infatti, che i frutti vengano adagiati su supporti di canne (“cannizzi”) o su telai in legno di faggio con rete alimentare e fatti asciugare al sole per un periodo di tempo che va da tre a sette giorni, a seconda del grado di maturazione, rivoltandoli almeno due volte al giorno, al fine di ottenere una disidratazione uniforme, e proteggendoli dalle eventuali piogge e dall’umidità notturna. Il fattore umano incide in modo significativo anche sui processi di trasformazione: trecce, collane, crocette, palloni sono le principali forme con cui viene trasformato il prodotto. Si tratta di manifatture particolari, cariche di connotazioni simboliche in cui confluiscono significati sociali e religiosi, ma che rappresentano soprattutto altrettante forme di espressione della fantasia creativa delle popolazioni locali. Prelibatezze, figlie della tradizione e della cultura popolare di questi luoghi, definite nel 1934 dalla rivista “L’Italia Agricola”: “Una risorsa naturale esclusivamente cosentina… apprezzatissimi sia in Italia che all’estero”. Rispetto al passato, quando il prodotto aveva un utilizzo prettamente stagionale, oggi esso viene commercializzato durante tutto l'anno, con punte massime nel periodo natalizio, sia sui mercati nazionali che su quelli internazionali. La quota destinata all'estero è diretta principalmente nei Paesi dell’Unione Europea, oltre che negli Stati Uniti e in Canada. Ad alimentare il flusso dell'esportazione contribuisce anche la richiesta degli emigrati che continuano a vedere in questo prodotto un simbolo della terra di origine. La crescita esponenziale che questo comparto ha fatto registrare negli ultimi decenni è anche il frutto di un’intensa attività di ricerca che ha permesso di apportare significative innovazioni in tutti gli elementi della filiera. Fondamentali in tale ambito sono state le innovazioni introdotte nel settore vivaistico, che ora e diventato molto più efficiente e sostenibile ed in grado di soddisfare pienamente la crescente domanda di giovani piante per realizzare i nuovi impianti, Altrettanto importanti sono state le innovazioni apportate nella conduzione agronomica dei ficheti, con la razionalizzazione della potatura, della gestione del terreno e della nutrizione idrica e minerale. Specifici studi condotti negli ultimi anni stanno poi creando le premesse per modificare in modo significativo anche i modelli d’impianto, attraverso l’intensificazione della densità di piantagione e l’adozione di nuove forme di allevamento, alternative al vaso. Molto importante per la crescita del comparto è stata anche l’attività di promozione portata avanti dal Consorzio di Tutela dei Fichi di Cosenza DOP, che ha permesso di fare conoscere ulteriormente questo prodotto.