Il Regolamento europeo sul ripristino della natura, dopo ampie e dettagliate considerazioni (ben 88 punti), si sviluppa in sei capitoli di cui il primo riguarda le “Disposizioni generali” (articoli 1-3); il secondo “Obiettivi e obblighi di ripristino” (articoli 4-13); il terzo “Piani nazionali di ripristino” (articoli 14-19); il quarto “Monitoraggio e comunicazione” (articoli 20-21); il quinto “Atti delegati e atti di esecuzione” (articoli 22-24); il sesto “Disposizioni finali” (articoli 25-28). Il documento termina con 7 allegati.
Il suolo è menzionato 13 volte nelle considerazioni iniziali, 5 nei capitoli e 3 negli allegati. Totale 21 volte.
Il documento contiene una serie di principi e obiettivi condivisibili. Da una lettura dello stesso nel suo insieme si evidenzia, però, la difficoltà a rappresentare in modo omogeneo le diverse situazioni pedo-ambientali dell’intera Unione Europea. Ad esempio, si dà grande spazio alle torbiere, diffuse nel nord Europa ma molto scarse in Italia e nei paesi mediterranei. Dall’altra parte, invece, non si rileva il problema della salinizzazione che ormai riguarda larga parte delle zone costiere del sud Europa.
Non viene dato sufficiente rilievo alle problematiche della gestione delle risorse idriche alla luce della crisi climatica in atto. È noto, ad esempio, che i lunghi periodi di siccità contribuiscono al degrado non solo degli habitat agricoli e forestali, ma anche di quelli urbani, specialmente se alla siccità si associano le sempre più frequenti e intense ondate di calore.
Per quanto riguarda il suolo è da sottolineare che è stato principalmente trattato nel pacchetto di iniziative previste dal Green Deal europeo, tuttavia in questo regolamento viene giustamente considerato parte integrante degli ecosistemi terrestri ed è altrettanto giusto l’auspicio di invertirne i processi degradativi con l’aumento dello stock di carbonio organico; è ampiamente noto il ruolo della sostanza organica ed è altresì assodato che il suo declino causa la degradazione del suolo stesso ed è altrettanto noto che il contenuto di sostanza organica è direttamente proporzionale alla biodiversità del suolo. Giusto, quindi, aver individuato quale indicatore proprio lo “stock di carbonio organico” nei suoli. Giusto anche monitorare questo indicatore determinando il suo contenuto nei suoli coltivati ad una profondità compresa tra 0 e 30 cm. Anche se i pedologi vorrebbero la sua determinazione lungo tutto il profilo!
Sulla carta il documento è quindi accettabile; il problema è la fase di attuazione. Infatti, le azioni di ripristino devono essere messe in atto dagli Stati Membri e qui emergono delle perplessità proprio a proposito del ripristino degli ecosistemi agricoli, visto che nel suolo i processi avvengono nel lungo termine e, quindi, ammesso e non concesso, che si inizi subito a cercare di incrementare il carbonio organico nel suolo è praticamente impossibile raggiungere gli obiettivi prefissati e cioè il recupero del 30% degli habitat non in buono stato (e in Italia ne abbiamo parecchi, ma anche nelle regioni mediterranee) entro il 2030; il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050.
Inoltre, il problema sarà quello di conciliare la necessità del ripristino degli ecosistemi agricoli con un’attività agricola che consenta la sopravvivenza degli agricoltori. Alcune pratiche rigenerative potrebbero far aumentare i costi di produzione o mancati redditi (es.: terreni a riposo, aumento degli anni di sovescio, ecc.). Gli attuali redditi degli agricoltori non sono affatto dignitosi e talvolta si vedono costretti ad abbandonare la loro attività. Da qualche parte, nel documento, si accenna al coinvolgimento degli agricoltori su base volontaria. No, gli agricoltori devono essere coinvolti con programmi di sostegno e deve essere riconosciuto loro un compenso per l’opera sociale di ripristino di accettabili condizioni ambientali che poi si rifletterebbero anche sulla qualità dei prodotti e, quindi, sulla salute umana.