Per fare il punto sulla situazione determinata dalla diffusione nel nostro Paese della peste suina africana, abbiamo intervistato il Dott. Alberto Laddomada, ex dirigente della Commissione Europea per la salute animale ed ex direttore generale dell’Istituto Zootecnico Sperimentale della Sardegna, esperto virologo ed epidemiologo di lungo corso.
Per prima cosa vorremmo informare correttamente i nostri accademici sulla situazione al momento. Qual è la diffusione, cosa si sta facendo per limitare i danni e cosa dobbiamo aspettarci?
La Peste suina africana (PSA), dopo la conferma della sua introduzione in Piemonte nel gennaio 2022, è tuttora presente nei cinghiali in quattro diverse aree del Paese, dove, nel corso del solo 2024 sono stati registrati 1147 focolai di malattia, localizzati per lo più nel nord ovest (Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana), che costituisce la situazione più difficile e preoccupante. Ma il virus circola anche a Roma, in un contesto urbano molto particolare, in Campania e in Calabria, anche se in queste situazioni sta causando molti meno problemi.
In Piemonte, Lombardia e in misura minore in Emilia-Romagna si sono verificati, a partire dal luglio scorso, una serie di focolai di malattia anche negli allevamenti di suini domestici: in totale 29, con l'interessamento di oltre centomila suini già abbattuti o ancora da abbattere, quale misura necessaria per prevenire ulteriori contagi. In Sardegna invece, siamo riusciti a eradicare completamente il virus che era arrivato nel lontano 1978: un’impresa che molti consideravano impossibile, dato il difficilissimo contesto ambientale e socioculturale, con la PSA che era prevalentemente diffusa tra suini allevati illegalmente allo stato brado nelle montagne del Gennargentu (una vecchissima tradizione) e tra i cinghiali. Solo pochi giorni fa il risultato della piena eradicazione ci è stato finalmente riconosciuto anche a livello europeo. Speriamo che ora la malattia non ci arrivi dalla penisola dove, considerate le precedenti difficilissime esperienze in numerosi paesi europei, è pressoché certo che la malattia persisterà molto a lungo nei cinghiali, soprattutto in quelle zone, come il nordovest, dove il virus ha avuto l'opportunità di diffondersi ampiamente: oggi le cosiddette zone di restrizione nel nordovest coprono una superficie di circa 23mila Kmq (quasi quanto l'intera Lombardia), includendo parte dei territori delle cinque regioni sopra indicate. E negli Appennini, sembra ormai molto chiaro, il virus trova un ambiente ideale, dal quale eradicarlo sarà molto difficile.
Nei suini domestici, invece, si è probabilmente arrivati alla fine della prevista "ondata estiva" di focolai, analoga a quella del 2023. Ma quest'anno è andata peggio: l'anno scorso ad essere interessata dai focolai era stata la sola Provincia di Pavia; quest'anno a Pavia dobbiamo aggiungere anche Novara, Vercelli, Milano, Lodi e Piacenza. Il danno per gli allevatori è stato ed è molto superiore.
È vero che non si sta facendo abbastanza per fronteggiare la situazione, come ci accusa la Commissione Europea? Lei aveva previsto una recrudescenza della diffusione della malattia in estate, quest’anno.
Il recente report degli esperti europei ha individuato una serie di gravi insufficienze nel controllo della PSA; scarsa sorveglianza, poco coordinamento e sinergia tra diverse autorità, strategia di controllo della malattia nei cinghiali sbagliata, esperti ignorati e marginalizzati, insufficiente prevenzione. Lacune gravissime e incontestabili, tant'è che pochi giorni dopo la presentazione di questo rapporto il Commissario Straordinario, nominato dal Governo nel febbraio 2023, si è dimesso, proprio mentre scoppiavano i primi focolai negli allevamenti nel nord Italia. Già nel dicembre 2023 - sulla base di un peggioramento della situazione epidemiologica nei mesi precedenti, delle conoscenze dell'andamento stagionale della malattia, e, appunto, delle gravi insufficienze nelle azioni condotte dalle autorità per contrastare il virus - avevo previsto un 2024 molto difficile, con diffusione ai suini domestici nel corso dell'estate. Purtroppo, le mie previsioni sono state confermate dai fatti, mentre in tutti questi mesi il problema è stato minimizzato o comunque non affrontato adeguatamente. Il messaggio mediatico che è prevalso è stato "eradichiamo i cinghiali", obiettivo sbagliato in quanto impossibile da raggiungere nel breve o nel medio periodo. In realtà, nessuno al mondo può affermare di essere riuscito a eradicare la PSA grazie all'eradicazione "generalizzata" dei cinghiali. Chi ancora crede in questa strategia dovrebbe finalmente rendersene conto e ricredersi.
Quanto e come ci è d’ostacolo la presenza di troppi cinghiali, spesso fuori controllo? Cosa possiamo fare al riguardo?
I cinghiali rappresentano indiscutibilmente un grosso problema, anche perché sempre più presenti al di fuori del loro habitat naturale nei boschi in zone collinari, ma diffusi in aree urbane e in zone in cui sono presenti numerosi allevamenti suinicoli. Invece di una generica strategia di "eradicazione dei cinghiali", impossibile da realizzare, bisognerebbe concentrare le risorse per evitare innanzitutto la ulteriore diffusione dei cinghiali dalle zone in cui la PSA è presente verso le zone a maggiore densità di allevamenti. Questo può essere realizzato mediante creazione di "fasce tagliafuoco", con popolazioni di cinghiali ridotte al minimo attorno alle zone infette; mediante abbattimenti mirati, sulla base di analisi accurate della situazione locale; mediante recinzioni poste strategicamente a rafforzare le barriere naturali o artificiali, come le autostrade. E bisognerebbe ridurre preventivamente al minimo la densità dei cinghiali nelle zone ad elevata densità di allevamenti, laddove la PSA non è ancora arrivata, con l'obiettivo che non ci arrivi mai. Perché se la PSA dovesse arrivare nelle province di Cuneo, Cremona, Mantova o Brescia, dove si allevano oltre la metà dei suini italiani, sarebbe una catastrofe.
Cosa si intende, esattamente, per “biosicurezza” per limitare i danni?
Per biosicurezza si intende quell'insieme di misure strutturali (ad esempio le recinzioni attorno ad un allevamento) e gestionali (l'uso di dispositivi di protezione individuale, il cambiarsi gli abiti e le scarpe) atte a prevenire la diffusione del virus tramite contagio diretto (cioè direttamente da animale ad animale) e indiretto (ad esempio, tramite le suole delle scarpe contaminate da feci, o la somministrazione ai suini di rifiuti di cucina che potrebbero contenere carni originate da suini infetti). Purtroppo, si è visto che le misure di biosicurezza finora adottate in molti allevamenti sono state spesso a dir poco insufficienti e questo spiega almeno in parte l'elevato numero di focolai durante l'estate da poco conclusa.
È vero che gli insetti contribuiscono alla diffusione della malattia?
Non esiste la certezza che gli insetti possano svolgere un ruolo importante quali "vettori meccanici" del virus PSA, ma è un'ipotesi che non può e non deve essere trascurata. Per chiarire: in Africa il virus della PSA viene trasmesso ai suini da un "vettore biologico", una zecca del genere Ornithodorus (assente in italia) al cui interno il virus "vive" e si replica, in modo analogo a quanto succede nel suo "ospite-mammifero", cioè il suino. Un qualcosa del genere succede anche nel caso del virus della Bleutongue, che vede i Culicoides trasmettere il virus ai ruminanti. Ma quello che ora si ipotizza in Italia ed in Europa è che il virus della PSA possa anche essere veicolato da un cinghiale in natura ai suini domestici all'interno di un allevamento, oppure da un allevamento all'altro, da parte di insetti (mosche, zanzare, etc.) che fungano da "vettori meccanici" cioè trasportino il virus "passivamente", ad esempio sulle loro zampe, così come può capitare con le suole delle scarpe. Ma manca ancora una prova scientifica inconfutabile. Ciò nonostante, io raccomanderei agli allevatori, le cui aziende sono localizzate in zone vicine a dove la PSA è presente nei cinghiali e dove notoriamente sono anche presenti molti insetti per via di corsi d'acqua, risaie, etc., di dotare le proprie strutture di zanzariere e di prendere altre misure ragionevoli (come uso degli insetticidi) atte a mitigare il potenziale rischio che i loro animali si infettino tramite gli insetti.
Ci può dare un’idea del danno economico e d’immagine per i nostri allevatori e per l’industria dei prodotti tipici a base di carne suina?
I danni economici per il nostro paese sono già di molte centinaia di milioni di euro, forse hanno già superato il miliardo. Si tratta di danni diretti, correlati cioè agli abbattimenti dei suini domestici (agli oltre 100mila di quest' anno si devono sommare gli oltre 40mila dell'anno scorso), ma ancor più dei danni indiretti che subiscono tutti gli operatori lungo la filiera. Ecco alcuni esempi di questi danni indiretti:
• "blocco" dei suini negli allevamenti, senza o con limitate possibilità di un loro invio al macello o in altri allevamenti per molte settimane o mesi per via delle misure restrittive (ahimè necessarie) atte a prevenire la diffusione del virus;
• deprezzamento delle carni dei suini allevati in zone di restrizione, che, sebbene corrispondano ai requisiti sanitari della UE, in quanto sottoposti ad una serie di controlli addizionali e specifici, risultano difficili da collocare sul mercato perché i macellatori e i trasformatori non vogliono incorrere in possibili restrizioni da parte di paesi terzi che ad esempio richiedono - come garanzia sanitaria supplementare - che le carni o i prodotti che loro intendono acquistare (provenienti esclusivamente da zone del paese dove la PSA è dal tutto assente) non siano stati a contatto con carni o prodotti che non forniscono le stesse garanzie sanitarie;
• perdita di alcuni mercati esteri importanti per prodotti come in nostri salumi e prosciutti, il cui export ha un valore complessivo di circa 1,5-2 miliardi di euro all'anno. Paesi come la Cina o il Giappone non riconoscono pienamente la validità delle misure UE di contrasto alla PSA, ed in particolare delle misure di "zonizzazione", stabilite dalla UE, che limitano la commercializzazione dei soli prodotti originati dalle "zone soggette a restrizioni" per via della PSA; misure tese a ad assicurare garanzie sanitarie proporzionate al rischio di diffusione del virus dalle diverse aree di un paese colpito dalla malattia, come è l'Italia. E, ovviamente, più un paese si dimostra incapace di fronteggiare efficacemente la malattia, perdendo così di credibilità, più i paesi terzi verso i quali si intende esportare hanno giustificazioni per mettere in dubbio la validità delle misure tese a garantire la sicurezza dei prodotti che l'Italia intende esportare. E bloccano le loro importazioni.
I nostri governanti si stanno muovendo adeguatamente?
Beh, il report europeo è stato molto chiaro! E ora recuperare il tempo perduto è una grande sfida. Ma non vorrei che, con le dimissioni del Commissario Straordinario, si sia anche trovato un facile capro espiatorio sul quale scaricare tutte le colpe. Le responsabilità sono a molti livelli, e non solo delle autorità centrali. Se a Roma hanno molte responsabilità, anche le regioni si sono fatte trovare impreparate: dopo oltre due anni e mezzo di presenza della PSA nella Penisola, osservo ancora errori che mi lasciano senza parole. E personalmente posso dire che avevo già scritto di questa impreparazione italiana già nel 2021, ancor prima dell'arrivo della PSA nella Penisola. Parole al vento. Ma anche il settore privato deve assolutamente capire che può e deve giocare una parte molto importante nella prevenzione e nel controllo della malattia e non scaricare tutto sulle autorità e sui servizi veterinari. Per quanto l'arrivo del nuovo commissario rappresenti senz'altro una novità importante, mi sembra che ci siano ancora troppi dei protagonisti che, invece di domandarsi cosa debba essere migliorato, partendo dalle proprie lacune, si preoccupano solo di incolpare gli altri per quanto non ha funzionato.
Come vede il futuro della suinicoltura italiana nel breve e nel lungo periodo?
Nelle condizioni che ho appena descritto non posso essere ottimista. Molti, moltissimi degli attori devono cambiare il proprio approccio al problema. Gli esperti dovrebbero essere messi nelle condizioni migliori per disegnare una strategia scientificamente solida, basata sull'analisi dei rischi e per la quale devono disporre di molti dati epidemiologici, attorno alla quale si dovrebbero coagulare le energie di tutti gli attori, istituzionali e non, con il convinto appoggio delle autorità politiche, sia a livello centrale che regionale. Bisognerebbe fare molta formazione, informazione e comunicazione corretta, elementi che finora sono mancati moltissimo. In Sardegna siamo riusciti in un miracolo, grazie ad un gruppo straordinario di tecnici ed esperti validissimi e molto determinati, e ad autorità politiche illuminate che hanno costruito e responsabilizzato quel gruppo, supportandolo anche nei momenti difficili. E con questa "leadership collettiva" di autorità politiche e tecnico-amministrative abbiamo ottenuto, non senza difficoltà, quel consenso sociale e politico che ci è stato indispensabile per superare mille ostacoli. I miracoli non sono mai facili da ripetere ma il rischio, se la situazione non cambia radicalmente, è che un domani potremmo fare i nostri prosciutti solo con le cosce importate dalla Danimarca, dall'Olanda o dalla Spagna, dove la PSA non c'è.
Ringraziamo il Dott. Laddomada anche a nome del presidente dell'Accademia dei Georgofili per la disponibilità a rispondere alle nostre richieste di aggiornamento e, soprattutto, per la competenza e l'accuratezza nei riguardi dell'argomento.