In quarant'anni di carriera nella genetica agraria, ho assistito a profondi cambiamenti e ho utilizzato le tecnologie più avanzate disponibili in ogni epoca: dagli anni '80 e '90, con la rigenerazione delle piante da protoplasti, la transgenesi e l'isolamento e lo studio funzionale dei geni, fino alle più recenti tecniche di decifrazione dei genomi e le NGT “New Genomic Techniques”, che noi genetisti italiani chiamiamo TEA (Tecnologie di Evoluzione Assistita). Questi strumenti della ricerca di base per approfondire la conoscenza, solo in alcuni casi, sono sfociati in innovazioni e applicazioni pratiche. Tuttavia, nonostante i progressi, non ho mai potuto osservare le piante modificate geneticamente in laboratorio crescere al di fuori di una serra. Questa frustrazione, più professionale che personale, è stata condivisa con molti colleghi: come si comporteranno queste piante in un ambiente agricolo reale? Riusciranno a esprimere nelle condizioni operative il carattere genetico valutato in laboratorio? Questa incertezza ha caratterizzato gran parte della mia vita professionale e quella di altri ricercatori nel campo delle biotecnologie agrarie, sia in Italia che in Europa.
Oggi le piante ottenute mediante TEA, considerate OGM da un obsoleto regolamento del 2001, vedono finalmente aperta la sperimentazione in pieno campo. Le TEA consentono, a seconda degli obiettivi, di trasferire geni all'interno del pool genetico della stessa specie (cisgenesi) o di eseguire mutazioni di precisione attraverso il gene editing con l’uso di forbici molecolari come CRISPR/Cas9, che agiscono con estrema specificità sul bersaglio genomico. La cisgenesi e il gene editing, insieme alla profonda conoscenza dei genomi e della funzione dei geni, costituiscono le più grandi innovazioni nel miglioramento genetico moderno delle piante agrarie.
Parlando di vite, nel 2007 si è posta una pietra miliare, con il primo sequenziamento del genoma, seguito da studi fondamentali sulla regolazione dell'espressione genica e dall’uso delle scienze omiche per la comprensione di rilevanti processi biologici. Questi dati genomici hanno rivelato informazioni importanti, come l'origine e l'evoluzione della Vitis vinifera durante il processo di domesticazione e le basi genetiche dei caratteri selezionati dall’uomo nelle diverse varietà, ma hanno anche evidenziato che, ad eccezione di rari casi, la Vitis vinifera non possiede geni di resistenza ai patogeni principali, come oidio e peronospora, presenti invece nelle viti selvatiche, sia americane che asiatiche. Per introdurre questi caratteri in V. vinifera, è stato necessario incrociare le varietà coltivate con le specie selvatiche, eseguendo poi lunghi cicli di reincrocio per eliminare i tratti indesiderati. Tuttavia, il risultato finale non è mai identico alla varietà originale, e proprio qui entra in gioco il miglioramento genetico moderno con le TEA.
Le TEA, attraverso cisgenesi, permettono di trasferire geni di resistenza dalle specie selvatiche alla Vitis vinifera. Sebbene esistano numerosi geni di resistenza, solo tre sono stati isolati e risultano utilizzabili, ma la loro specificità può indurre una pressione selettiva sul patogeno, favorendo la comparsa di ceppi che superano la resistenza. Un'alternativa è mutare i geni di suscettibilità presenti nel genoma della V. vinifera, che permettono l'infezione del patogeno. Poiché, per dare luogo ad una resistenza, queste mutazioni recessive devono essere presenti in forma omozigote, è quasi impossibile che si manifestino spontaneamente nelle specie arboree. Con il gene editing, possiamo modificare questi geni, alcuni dei quali già identificati, come MLO (per l'oidio) e DMR6 (per la peronospora), per conferire resistenza durevole alla pianta, impedendo al patogeno di compiere il suo processo infettivo.
EdiVite, spin-off dell'Università di Verona, ha sviluppato un metodo per applicare il gene editing ai geni di suscettibilità della vite: le “forbici molecolari” CRISPR/Cas9 sono state inserite mediante trasfezione all’interno di protoplasti isolati, per dirigere la mutazione con precisione (editing) sui geni MLO e DMR6 e successivamente, grazie allo sviluppo di protocolli efficaci di rigenerazione da protoplasto, è stato possibile produrre nuove piantine di vite editate. Infine, le piante sono state sequenziate per verificare la presenza della mutazione in entrambi gli alleli bersaglio ed escludere la presenza di mutazioni off-target. La prima varietà editata è stata Chardonnay, con una mutazione nel gene DMR6, che ha mostrato resistenza alla peronospora in laboratorio.
Tuttavia, il vero banco di prova resta il campo aperto. Grazie a un emendamento al cosiddetto Decreto siccità, è stato possibile usufruire di una procedura semplificata per richiedere l'autorizzazione al MASE, e mettere a dimora queste piante modificate come previsto dal Regolamento europeo 2001/18. L’obiettivo è studiarne il comportamento direttamente in campo, verificando l'efficacia della mutazione nel gene di suscettibilità alla peronospora.
Ora la strada è aperta, EdiVite ed i ricercatori dell’Università di Verona continueranno a sviluppare ulteriori prototipi, applicando le TEA ad altre varietà di vite ed editando altri caratteri, che potranno essere valutati in pieno campo, in attesa di un’apertura legislativa dell’Unione europea a queste nuove tecnologie, a tutto vantaggio della sostenibilità e del futuro del settore vitivinicolo.