Pochi giorni fa sono finito per caso su una pagina di un social dove ho letto i commenti riguardo all’abbattimento di un platano in cui si arrivava addirittura a minacciare “il responsabile” di tale abbattimento, insieme a offese di vario genere. Ora, conoscendo proprio quella situazione e la motivazione della scelta fatta, legata al limitare il progredire del cancro colorato del platano, la cui lotta è obbligatoria per legge e la cui omissione è un reato penalmente perseguibile, vorrei fare qualche riflessione sulla questione della gestione degli alberi in città e della necessità, che talvolta sorge, di doverli abbattere e sostituire.
L’abbattimento degli alberi in contesti urbani è diventato uno dei temi più dibattuti e, purtroppo, spesso affrontato con superficialità. Quello che dovrebbe essere un dibattito pubblico maturo e consapevole sulla gestione del verde urbano si trasforma sempre più spesso in una caccia al colpevole, un’escalation di accuse e aggressioni che mina la possibilità di un dialogo costruttivo. La cultura dominante sembra essere quella della condanna immediata, in cui non solo si ignorano le ragioni tecniche e scientifiche dietro certe scelte, ma si attacca violentemente chi lavora per la salvaguardia del territorio, in particolare gli operatori e i tecnici incaricati della gestione degli alberi che, mi preme sottolinearlo, si assumono anche responsabilità importanti.
Questa cultura della colpa a tutti i costi è un sintomo di una tendenza preoccupante: la mancanza di volontà di comprendere. Siamo ormai così intrappolati in un meccanismo di indignazione che la prima reazione è accusare, senza fermarsi a chiedere il "perché". È un atteggiamento che rispecchia un allarmante distacco dalla realtà dei fatti, dove l’emotività prevale sul ragionamento critico. Gli alberi sono visti come simboli di un’innocenza violata, e ogni loro rimozione è interpretata come un crimine contro la natura, senza tener conto delle possibili motivazioni che possono rendere necessario l’abbattimento. Malattie, pericolo di crolli e rischio spesso connesso in ambito antropizzato, interferenze con infrastrutture e piani di rigenerazione urbana sono solo alcune delle ragioni che spesso giustificano interventi, certo dolorosi, ma necessari.
Invece di basare la protesta su una reale conoscenza delle condizioni e delle decisioni tecniche, molti preferiscono reagire d’impulso, aggredendo verbalmente (e non solo in qualche caso) chi è incaricato di prendere decisioni delicate e complesse. I tecnici del verde urbano, così come consulenti esterni e gli operatori del settore, diventano bersagli di minacce e violenze, come se fossero gli artefici di una catastrofe. Non c’è spazio per la comprensione, per la valutazione delle alternative o per un confronto pacato sui dati che giustificano certe operazioni.
Questa mentalità non solo impedisce di risolvere i problemi, ma li aggrava. Invece di creare un contesto in cui i cittadini possano collaborare con gli esperti per migliorare la qualità della vita urbana e del patrimonio arboreo, si alimenta un clima di sospetto e ostilità che allontana ogni possibilità di confronto. La protesta fine a sé stessa, alimentata da un’emotività rabbiosa, finisce per soffocare ogni tentativo di dialogo, danneggiando tanto l’ambiente quanto il tessuto sociale e creando una frattura fra Istituzioni e cittadini spesso insanabile.
In un mondo ideale, l’abbattimento di un albero dovrebbe essere una decisione condivisa, spiegata con trasparenza e accolta con consapevolezza dai cittadini. Ma per arrivare a questo, è necessario uscire dalla logica della colpevolizzazione ed entrare in una cultura del confronto o, meglio ancora, del dialogo. Prima di puntare il dito, bisognerebbe chiedersi quali siano i motivi che hanno portato a quell’abbattimento e basare le proprie rimostranze su dati concreti, non su pregiudizi. La rabbia cieca non risolve i problemi; la comprensione, invece, apre la strada a soluzioni.
Tuttavia, è altrettanto vero che in alcuni casi le decisioni pianificatorie risultano difficilmente comprensibili. Non sempre le informazioni che vengono fornite dai responsabili del verde urbano sono chiare o esaustive, e in situazioni del genere i cittadini hanno il pieno diritto di chiedere spiegazioni dettagliate e di opporsi a scelte che possono apparire errate o non giustificate. L'opposizione, in questi casi, non solo è legittima, ma necessaria per garantire una maggiore trasparenza e responsabilità da parte delle autorità. Quando mancano chiarezza e partecipazione, la protesta civile è un importante strumento democratico per correggere possibili errori e indirizzare le decisioni verso una gestione più sostenibile e rispettosa del patrimonio arboreo.
Continuare ad alimentare la cultura della colpa, però, non solo danneggia chi cerca di operare in modo professionale, ma anche la causa stessa per cui ci si batte. Finché la protesta non si trasformerà in un dialogo consapevole, continueremo a perdere non solo gli alberi, ma anche l’opportunità di costruire una città più verde e più armoniosa.