Mentre per la Sardegna l'Unione europea ha finalmente deciso di abrogare le ultime misure restrittive ancora in vigore per la Peste suina africana, il virus continua ancora a far tremare gli allevatori in numerose regioni italiane, in Europa e in molte altre aree del mondo. Abbiamo approfondito l’argomento con il Prof. Giovanni Ballarini.
Prof. Ballarini, cosa pensa dell’attuale epizoozia di Peste Suina Africana in Italia?
Non è la prima volta che questa malattia sbarca in Italia e ricordo che nel 1967 arriva negli allevamenti di maiali per un improvvido uso di un vaccino di origine clandestina. Un avvenimento che circa cinquanta anni fa vivo in prima linea come giovane professore di Medicina Veterinaria con allevamenti di maiali colpiti nella Pianura Padana. In quella occasione subito, nel giorno più lungo si può dire, si interviene con una battaglia intelligentemente comandata da Luigino Bellani, con a fianco Giuseppe Caporale e un esercito di cento Veterinari Provinciali dotati di pieni poteri, come si addice a una guerra che è così rapidamente vinta. Purtroppo allora l’infezione in Sardegna passa ai cinghiali dove è poi vinta con una guerriglia durata ben cinquanta anni. Ora la Peste Suina Africana è di nuovo sbarcata in Italia, non è fermata nel giorno più lungo e non costituisce solo una testa di ponte, ma conquista i cinghiali di un vasto territorio che comprende più regioni dell’Italia Settentrionale e necessita non di singoli interventi, spesso sparsi, ma una adeguata strategia.
Gentile Professore, cosa è questo suo parlare di giorno più lungo, testa di ponte, guerriglia, strategia? Parliamo di una malattia, non di una guerra.
Qui si sbaglia, perché le epizoozie animali e le epidemie umane per essere vinte devono essere affrontate non in modo settoriale e scoordinato ma con un piano globale come una guerra contro un agente patogeno, soprattutto se invadente in una popolazione e in un territorio, tenendo presente le caratteristiche di questi ultimi, sia per un nemico di primo arrivo che già insediato, come è l’attuale situazione italiana della Peste Suina Africana. Come avvenuto per lo sbarco in Normandia, uso ancora un linguaggio bellico, anche per combattere la Peste Suina Africana è necessario un comando unico con pieni poteri esecutivi, che alle attuali condizioni non credo possa esistere.
Quali condizioni?
Tre Ministeri (Salute, Agricoltura, Commercio), venti regioni, interessi diversi anche contrapposti tra differenti categorie sociali (allevatori, cacciatori, animalisti, ambientalisti) e chi più ne ha più ne metta, rendono non solo difficile, ma soprattutto tardivo e lento ogni intervento, che è invece necessario in una guerra lampo (Blitzkrieg) come l’attuale epizoozia di Peste Suina Africana. A questo riguardo ricordo che la guerra del 1967 fu guidata e vinta dal centro con telegrammi inviati ai cento Prefetti e che i cento Veterinari Provinciali resero immediatamente operativi senza lentezze, intermediari o interferenze di qualsiasi genere.
Lasciamo stare il passato e guardiamo all’oggi. Quali le sue previsioni?
Quando gli Alleati nel 1944 conquistano la Normandia è chiaro che è solo possibile una strategia di contenimento. Lo stesso è per la Peste Suina Africana che ora coinvolge quattro regioni (Liguria, Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte). Con un giudizio non pessimista ma realista, considerando l’esperienza italiana della Sardegna e quella attuale dei paesi dell’Europa Orientale, la malattia insediata in Italia Settentrionale qui rimarrà molto a lungo, per molti decenni se non forse per sempre, almeno nei limiti della nostra, attuale esperienza umana.
Quali sono le linee strategiche d’intervento?
Moltissimi sono i decreti, ordinanze, note dei Ministeri, dei Commissari Straordinari, Regioni, Organizzazioni di Categoria che si sono succeduti. In una strategia di guerra si devono distinguere tre diverse aree (allevamento, boschi, popolazione umana), ognuna con i suoi differenti metodi d’intervento.
Per i maiali, quindi per gli allevamenti, bisogna impedire l’entrata e la diffusione della Peste Suina Africana. Da qui, anche in mancanza di un vaccino sicuro ed efficace, la linea d’intervento concerne gli spostamenti degli animali e una protezione rafforzata in quelli in prima linea rispetto alle zone dove vi sono cinghiali infetti, con una rigida, continua e capillare applicazione di misure di biosicurezza. Questo per evitare ogni possibile entrata in allevamento del virus della peste, per altro molto resistente e persistente. Da qui barriere con recinzioni, cancelli, muri di cinta o barriere naturali, accesso attraverso zona filtro del personale, punto di disinfezione dei mezzi di trasporto, accorgimenti per le stalle degli animali per una efficace pulizia e disinfezione. Ovviamente è assolutamente necessario avere una totale e completa anagrafe degli allevamenti suini, anche piccoli e familiari, per intervenire su quelli infetti, che sono una tremenda sorgente di virus, con l’immediata soppressione e distruzione di tutti gli animali, compiendo poi un’adeguata sanificazione e disinfezione e controllando la presenza delle misure di biosicurezza prima di riprendere l’allevamento con animali di origine sicura.
Proteggere gli allevamenti è giusto, ma per i boschi?
Nei boschi il problema principale è quello dei cinghiali che vivono nei boschi e foreste e che di anno in anno in Italia, soprattutto lungo la dorsale appenninica, si sono inesorabilmente diffusi. Negli anni trenta i boschi in Italia coprivano circa quattro milioni di ettari, negli ultimi trent'anni hanno conquistato oltre tre milioni di ettari e oggi circa undici milioni di ettari coprono un terzo della nostra penisola. Il bosco costituisce una larga rete lungo la quale si spostano gli animali che da qui si spostano anche nelle aree contigue più o meno intensamente abitate. I boschi italiani sono oggi quasi completamente ingestibili, non solo per la parte vegetale ma soprattutto per gli animali che si sono sviluppati per tipo e per numero e dove i cinghiali hanno superato il milione e mezzo di esemplari. A questo riguardo, come esempio ricordo che in un’area come quella della Regione Liguria vi sono soltanto ottanta uomini dei Carabinieri Forestali che devono occuparsi dei boschi in quanto tutela dell’ambiente, del territorio, delle acque ma anche della sicurezza agroalimentare, a sostegno o con il supporto dell’organizzazione territoriale. Anche per quanto ora indicato, una eradicazione della Peste Suina Africana dei cinghiali con una loro depopolazione nelle foreste italiane pare un obiettivo non raggiungibile nell’immediato, probabilmente nemmeno a medio-lungo termine. Limitati sono i risultati della caccia operata dall’uomo che riguarda gli animali più grandi con un ringiovanimento della popolazione trasformando la popolazione di cinghiale in una continua crescita di giovani più sensibili alle infezioni. Una attività venatoria può inoltre favorire la dispersione dei cinghiali e quindi la diffusione in altre aree di animali portatori del virus, mentre potrebbe avere un certo ruolo lungo i corridoi arboricoli che dai boschi si dipartono verso le aree antropizzate arrivando fino alle città. Il lupo (Canis lupo) può ridurre il numero di cinghiali uccidendo animali defedati dalla malattia e mangiandone le carcasse, essendo stato dimostrato che il virus non colpisce il lupo e non sopravvive al passaggio attraverso il suo intestino. Utile anche la presenza di insettivori, soprattutto uccelli, che distruggono zecche nelle quali sopravvive il virus della Peste Suina Africana. Oggi si può solo attuare una strategia di contenimento per evitare il coinvolgimento di aree del territorio italiano vocate all’industria zootecnica e l’avanzare della malattia verso sud attraverso la catena appenninica con il conseguente coinvolgimento di tutta la penisola
Come sarebbe?
I tedeschi nell’ultima Grande Guerra hanno ostacolato l’avanzata degli Alleati nella penisola italiana costruendo sugli Appennini le Linea Gustav e poi la Linea Gotica. Ora è necessario costruire su gli Appennini e dove l’infezione non è ancora arrivata delle fasce o linee di deforestazione con un completo depopolamento dai cinghiali per impedire il progressivo spostamento della Peste Suina Africana lungo la catena appenninica.
E per la popolazione umana prima accennata?
Questa è un’altra parte di grande difficoltà. Basta pensare che in Italia vi sono stati diversi focolai di Peste Suina Africana sicuramente non collegati tra loro: 2022, 7 gennaio in Piemonte a Ovada e qualche giorno dopo in Liguria nelle Province di Genova e di Savona; 2022, 5 maggio 2022 nel Lazio a zona nord della città di Roma; 2022, 9 giugno a Roma; 2023, 5 maggio a Reggio Calabria; 2023 22 maggio a Salerno. Tutte aree distanti dai focolai di malattia dell’Europa Orientale e attribuibili ad alimenti (carni suine) di animali se non ammalati almeno infetti e nei quali il virus della Peste Suina Africana sopravvive a lungo, non settimane, ma anche mesi. Infezioni arrivate dai paesi dell’Europa Orientale non solo da turisti, ma forse da rientri di italiani andati in quei paesi per diversi motivi, non ultimo la caccia in paesi infetti di Peste Suina Africana. Scarti di alimenti infetti lasciati in discariche più o meno abusive? Auto o scarpe infette? Ricordo che precise ricerche dimostrarono che i focolai di Afta Epizootica comparsi negli Stati Uniti d’America alla fine degli anni quaranta del secolo scorso furono causati dal virus presente nelle scarpe e nella paglia usata come imballaggio dei profughi polacchi, paese dove la malattia era endemica. Da qui le dichiarazioni che ancora oggi bisogna fare entrando negli USA.
Quali dichiarazioni?
Nel Modulo doganale 6059B da compilare in aereo o al chiosco APC da chi entra negli USA bisogna dichiarare se si porta frutta, vegetali, piante, semi, insetti, carne, prodotti animali, insaccati, prodotti caseari, agenti patogeni, culture cellulari, lumache, terra, oppure se si è visitato una fattoria, allevamento o pascolo fuori dagli USA, e se si è stati a contatto con del bestiame fuori dagli USA.
Siamo arrivati quasi alla fine di questa intervista e come penultima domanda le chiedo: quale ruolo hanno carni e salumi suini nella diffusione della Peste Suina Africana?
Molto lunga e articolata sarebbe la risposta alla sua domanda e, dopo aver ricordato che l’infezione assolutamente non colpisce l’uomo, mi limito a ricordare alcuni punti ricordando la necessità di avere una precisa e sicura tracciabilità dell’origine delle carni fresche e di quelle destinate alla salumeria. Il virus della Peste Suina Africana è molto resistente e bisogna diffidare delle carni e dei salumi di piccoli allevamenti familiari e soprattutto di quelli bradi e semibradi, in particolare se vi sono possibilità di contatti con discariche familiari specialmente se incontrollate o con boschi con cinghiali. Da tempo conosciamo la resistenza del virus nei salumi che si inattiva nel prosciutto in 188 giorni, nei salami in 60 - 75 giorni e nella carne affumicata in 25 - 90 giorni, per cui il virus può essere veicolato con un’origine incerta e non tracciata di carne suina fresca e salumi a breve stagionatura come le salsicce.
In una situazione molto complessa, quali sono le prospettive?
Prospettive non buone, se non fosche perché è prevedibile una progressiva diffusione della Peste Suina Africana in tutta l’Europa Centrale e Occidentale, anche per la mancanza di una difesa unitaria dei diversi Stati. Negli USA per certe malattie degli animali vi sono strategie unitarie sovrastali (vedi la dichiarazione sopra citata) ma non nella Unione Europea. Qui tra gli Stati vi è una libera circolazione delle persone, merci e virus e vi sono notevoli diversità tra le organizzazioni statali che si interessano di salute animale. In un’era di sovranismi molto difficile è arrivare a un’unica strategia europea sovranazionale simile a quella in atto per la sicurezza degli alimenti, come è invece necessaria. Ma questo è un altro discorso.
Sotto: Peste Suina Africana - Zone di restrizione al 17 settembre 2024. I triangoli rossi indicano i rinvenimenti di cinghiali infetti, i cerchi blu gli allevamenti colpiti