Le proposte europee del cosiddetto “Green Deal” sono, anche troppo spesso, argomento di discussione sui mezzi di informazione. Altrettanto spesso assistiamo, specialmente in televisione, ad interventi da parte di personaggi che, non si sa quanto in buona fede, sparano false informazioni senza vergogna.
Per quanto riguarda il settore agricolo, ad esempio, non è difficile sentire affermare che le attività legate agli allevamenti bovini contribuiscono all’inquinamento da gas serra più di tutti i trasporti per terra, per mare e per aria, messi insieme. Quando sappiamo (bollettini FAO 2019-2020) che è tutto il complesso delle attività agricole a contribuire all’emissione dei gas serra alla stressa stregua di tutto il comparto dei trasporti, ovvero per il 18% del totale. All’interno di questo 18%, il contributo dei ruminanti è poco più del 6%, in gran parte dovuto agli allevamenti estensivi dei paesi meno sviluppati. Al COP28, tenutosi a Dubai l’anno scorso, il premio Nobel Al Gore ha addirittura corretto questi dati: l’intero comparto dell’agricoltura contribuisce all’emissione di gas serra per il 12,84% e quello dei trasporti per il 13,95%. In ogni caso affermare che i ruminanti allevati, da soli, pesino più dei trasporti di tutti i tipi messi insieme, è clamorosamente falso.
Ma, a parte questo, che cosa pensano al di là dell’Atlantico meridionale del nostro “Green Deal” europeo? Ce lo dice un articolo di Daniel Azevedo (All Animal Feed, 5 luglio 2024).
Le attività legate alla zootecnia in Brasile sono spesso oggetto di critiche per quanto riguarda il contributo al riscaldamento globale, a causa della deforestazione illegale. Ecco perché è probabile che il Brasile sia il paese che risentirà maggiormente della nuova legislazione europea che espanderà le restrizioni sui prodotti agricoli provenienti dalle aree deforestate.
Il Green Deal europeo comprende un pacchetto di norme finalizzate a raggiungere la neutralità climatica nel 2050 attraverso la transizione verde. Una di queste politiche europee è il regolamento europeo sulle deforestazioni per gli scambi di derrate. Il fornitore dovrà dichiarare che il suo prodotto proviene da terreno agricolo non oggetto di deforestazione o degradazione forestale a partire dal 31 dicembre 2020. Tale restrizione riguarda olio di palma, carne bovina, soia, caffè, cacao, legname e gomma, a partire dalla fine di quest’anno, 2024.
Dal canto loro, i politici, gli agricoltori e gli allevatori brasiliani affermano di avere le leggi più moderne e restrittive del mondo sulla gestione delle foreste: nelle aree del bioma amazzonico, che misura più di 400 milioni di ettari, si sono obbligati a mantenere l’80% della copertura originale. Negli altri biomi, come le foreste atlantiche e le Pampas, si va dal 20 al 50%.
Tanto per avere un’idea del volume degli scambi commerciali con l’Europa, nel 2022 la sola soia ha pesato per il 34,5%, per più di 3 miliardi di dollari l’anno.
Secondo André Nassar, responsabile del “Brazil Agri-Food Facts” (intervista di Alessandro Maurilli su Agricoltura del 31 ottobre 2022), il settore oleaginose è completamente coerente con le leggi brasiliane ed esporta soia prodotta senza alcuna deforestazione. Secondo l’intervistato, le norme europee hanno motivazioni nobili e corrette, ma creeranno costi di transazione nella catena delle forniture alimentari. In questo senso il legislatore europeo si dovrà assumere qualche grado di responsabilità, soprattutto per non aver considerato la deforestazione illegale. Secondo Nassar, la domanda globale di cibo è imperativa e l’Europa pagherà le conseguenze delle sue leggi restrittive in termini di inflazione, di destabilizzazione economica e di impatto climatico.
Onestamente, non conosco bene l’argomento di cui stiamo parlando per sostenere o meno tali affermazioni. Tuttavia ritengo che valga la pena di segnalare il problema sulla nostra newsletter “Georgofili Info”, se non altro per attirare l’attenzione sulla questione.