Recentemente la multinazionale del kiwi neozelandese Zespri ha eliminato oltre cinquemila pallet per oltre un milione di confezioni di kiwi perché sulla nave che li trasportava verso l’Europa sono stati trovati dei topi. Il valore totale dei 5.000 pallet eliminati, più i relativi costi di smaltimento, ammonta a circa 34 milioni di dollari neozelandesi, quasi 20 milioni di euro, che Zespri ha ‘sacrificato’ senza batter ciglio.
Zespri lavora con oltre 2500 produttori in Nuova Zelanda, 150 licenziatari in Italia, 800 in Giappone, 130 in Corea e 50 in Francia. “In tutto il mondo – proclama il colosso neozelandese - i produttori condividono la nostra filosofia e l'impegno a ottenere kiwi sempre perfetti”.
Il kiwi (actinidia) è davvero uno dei frutti più globali che ci siano e l’Italia è il terzo produttore al mondo dopo Cina e Nuova Zelanda (320.000 tons la media 2020-2022 contro le 615.000 tons di Nuova Zelanda e 2,4 milioni tons della Cina, fonte CSO Italy). Altri grandi produttori sono Grecia, Iran, Cile e Turchia. Nell’export tricolore di ortofrutta il kiwi è al terzo posto dopo mele e uva da tavola per un controvalore di oltre 600 milioni di euro (+23,8 % sul 2022).
Tra i vari paesi produttori emergono sostanziali differenze nella scelta delle varietà da coltivare nei diversi areali. In Italia e Nuova Zelanda stanno crescendo gli impianti di varietà gialle e rosse. In particolare in Nuova Zelanda che prevede di raddoppiare la produzione di kiwi a polpa gialla nei prossimi cinque anni. Negli altri paesi si continua a investire nel verde Hayward. Un frutto globale, come si diceva, che soffre come tutti gli altri di un calo dei consumi dopo un costante incremento fino al 2021, con conseguente aumento dei prezzi negli anni dell’inflazione crescente (2022 e 2023), ma che è avvantaggiato dalla diversa stagionalità di raccolta nei due emisferi, che garantisce una continuità di fornitura praticamente 12 mesi all’anno. Un alimento che è entrato nel sentiment dei consumatori per le sue conclamate proprietà nutraceutiche, apportatrici di nutrienti preziosi e di vitamina C, grazie alle quali non ha subìto drammatici cali di consumi come altri prodotti (pere).
Il mondo continua a piantare kiwi, le superfici mondiali sono destinate a crescere, a dispetto delle difficoltà legate al climate change e al proliferare di insetti e funghi resistenti alle tradizionali tecniche di difesa. C’è molta differenza nelle rese – e quindi nella redditività per i produttori – tra i vari areali e i vari paesi: si passa da una media di 12 tonnellate/ettaro nei paesi con le performance più deboli, fino ad arrivare a superare le 30 tonnellate/ettaro nelle aree più performanti.
In Italia la produzione, dopo un picco nel 2015 di 575.000 tons, è gradualmente scesa (quasi precipitata) a 264.000 tons del 2023 per l’impatto di eventi climatici avversi (gelate, grandine, ecc.) e della morìa. Da rimarcare inoltre la caduta delle superfici investite a verde che si sono dimezzate rispetto al 2018. La prima regione italiana per produzione è il Lazio (Agro Pontino) con circa 9.500 ettari dedicati (dati Istat 2022). Altre regioni importanti sono Veneto, Emilia Romagna, Piemonte e alcune regioni del Sud come la Calabria dove crescono gli investimenti nelle nuove varietà gialle. L’export comunque incide per oltre il 70% della produzione, destinato per due terzi in Europa e un terzo nel resto del mondo. A dispetto dei nostri primati produttivi, i consumi casalinghi del kiwi non sono brillanti. Un report CSO Italy relativo al 2023 colloca il kiwi al tredicesimo posto nella classifica degli acquisti di frutta, rappresentando solo il 3% del totale. La specie è appena al di sopra delle albicocche e recentemente sono stati superati dalle nettarine. Oltre il 90% degli acquisti è concentrato sulla varietà verde, il resto si divide tra varietà gialle e biologico.
Cambiamento climatico, moria del kiwi e cancro batterico sono tra i problemi principali che gli agricoltori si vedono oggi costretti a fronteggiare. Il cancro batterico del kiwi, causato dal batterio Pseudomonas syringae pv. actinidiae (Psa), si è diffuso in tutto il mondo dal 2008, con effetti devastanti su qualità e quantità del raccolto; attualmente il controllo di questa patologia si basa su approcci agronomici e chimici, non privi di impatto ambientale.
Il boom del kiwi in Italia risale agli anni 70-80 del secolo scorso quando sono iniziati i massicci investimenti in un’unica varietà, l’Hayward a polpa verde, che ha garantito per molti anni buoni redditi ai produttori. Oggi climate change e malattie hanno falcidiato la produzione in Italia e molti gruppi italiani hanno costituito società all’estero – in particolare in Grecia – per poter garantire produzione e approvvigionamento ai loro clienti. L’innovazione sta giocando un ruolo importante: le varietà a polpa gialla e rossa – tutte coperte da brevetti – sono sempre più apprezzate dal mercato e stanno soppiantando nelle scelte dei consumatori quella a polpa verde. Il futuro, dicono gli esperti, è problematico: si punta ad una nuova varietà resistente o comunque più tollerante alle malattie, anche ricorrendo alle nuove tecniche genomiche di miglioramento recentemente sdoganate dall’Europa. Serve un combinato disposto di azioni: scienza, ricerca e sperimentazione per un rinnovo varietale più tollerante a malattie, morìa e cambiamenti climatici oltre allo sviluppo di strumenti immateriali e fisici di difesa, dalle coperture antigrandine e anti-insetto alle polizze assicurative antipioggia e gelo.
*direttore Corriere Ortofrutticolo e CorriereOrtofrutticolo.it