Nel capoluogo siciliano si torna a coltivare il caffè a più di un secolo di distanza dal primo esperimento di coltivazione in Sicilia. Lo scenario è l’Orto Botanico che fa parte del sistema museale dell’Università di Palermo, un luogo di meraviglie naturalistiche che contiene migliaia di specie differenti di piante.
Nel 1905, il direttore dell’Orto Botanico palermitano e il capo giardiniere, con l’intento di coltivare il caffè in piena terra misero a dimora 25 piante di caffè. Malgrado le piante fossero state posizionate a ridosso di un muro con esposizione a mezzogiorno e riparate da una tettoia costruita di fogliame, non riuscirono a superare le temperature invernali che si ebbero per alcuni anni e che raggiunsero valori inferiori ai -3° C. Un altro tentativo venne fatto nel 1911, ma anche in quel caso un’ondata di gelo distrusse le piante.
Vediamo come si configura il progetto al giorno d’oggi, parlandone insieme al Prof. Paolo Inglese, georgofilo e ordinario di Scienze Agrarie all’Università di Palermo.
Professore Inglese, innanzi tutto di che cosa ha bisogno la pianta del caffè per crescere bene?
Il caffè è una specie rustica e sebbene sia coltivata da tempo mantiene delle caratteristiche tipiche e vicine a quelle delle piante “selvatiche”. Di fatto, nelle nostre condizioni, il problema più grande è la stagionalità in termini di escursione termica annuale, che nelle zone di origine è molto ridotta mentre qui ha la variabilità stagionale che conosciamo, con il rischio di temperature estreme dannose sia come minime che come massime termiche. Inoltre, il caffè è specie che negli ambienti naturali vive sotto le grandi specie della foresta subtropicale umida e in coltura è spesso consociato a specie ombreggianti. Alle nostre latitudini e con il clima Mediterraneo, il problema delle lunghe giornate estive con l’elevata radiazione, unita a un elevato VPD, possono portare a problemi che variano dalla semplice scottatura della chioma al suo disseccamento. Per questo, le piante vanno ombreggiate, al fine di garantire loro un certo equilibrio termico e radiativo che non ne comprometta la crescita e lo sviluppo.
Vengono messi in campo particolari accorgimenti nell'orto botanico di Palermo?
Quella dell’orto botanico non è l’unica e la prima delle prove. La più importante la stiamo conducendo, con il professore Farina e lo staff del dipartimento di scienze agrarie della nostra Università, sempre a Palermo ma in ambiente protetto. La piccolissima parcella dell’orto ha un valore storico, perché testimonia la storia dell’orto botanico, da sempre e in quegli spazi impegnato a provare le specie di origine “coloniale”, come si diceva in un tempo per fortuna assai lontano culturalmente e storicamente. La particolarità di questa piccola parcella è legata al fatto che le piante per la prima volta sono fuori dall’ambiente protetto e risiedono in uno spazio condiviso con agrumi e con le Cebie che forniscono la necessaria copertura vegetale, simulando in qualche modo un habitat naturale. Vicino al caffè ci sono esemplari monumentali di avocado e giovani piante di mango, oltre che svariate altre specie tropicali, da frutto e non. Non sappiamo cosa succederà, se lo sapessimo, non sarebbe una parcella sperimentale. Concimeremo con compost prodotto dall’orto e avremo il controllo fenologico e produttivo con le piante in serra.
Ci sono varietà più indicate al clima siciliano?
Non abbiamo varietà, perché si tratta, come spesso accade per il caffè, di semenzali, in questo caso derivati da piante di Coffea arabica da tempo acclimatate in Sicilia e capaci di produrre frutti e semi fertili. Ci interessa fare uno screening per comprendere l’omogeneità genetica del materiale che utilizziamo e, se del caso, immaginare una selezione clonale dei genotipi che avranno le migliori performances in campo. Certamente l’idea è stata e rimane quella di partire da piante che hanno dato prova di poter vivere e produrre nelle nostre condizioni ambientali. Di fatto, esistono in orto, in diversi vivai e parchi privati, piante di caffè che prosperano e si riproducono da decenni, se non di più. Noi stiamo cercando solo di metterle a sistema colturale in modo ordinato
Ci sono fitopatologie particolari che minacciano il caffè alle nostre latitudini e come si combattono?
Non fino ad oggi, a parte alcuni attacchi non specifici e di facile controllo. Direi che è molto più importante verificare la sostenibilità ecologica in termini di flussi termici e radiativi e di resistenza allo stress idrico.
Considerato il "culto" e la tradizione del bere caffè che abbiamo in Italia, la qualità ottenuta in Sicilia è buona?
L’idea è quella di offrire alle piccole aziende siciliane, in questo caso Morettino, nostro partner industriale, una piccola possibilità che ha un grande valore di comunicazione, quale è poter affermare di produrre il primo caffè 100% europeo, dal seme al macinato. Si, la qualità è buona ed è stata analizzata da assaggiatori esperti. Non immaginiamo grandi quantità, ma produzioni di nicchia che valorizzino il brand.
Chi si occupa della lavorazione delle drupe raccolte?
Il partner “Caffè Morettino”, una delle migliori aziende siciliane nella produzione di caffè di alta qualità, con uno staff di eccezione e una straordinaria voglia di lavorare insieme. Nei prossimi giorni saremo insieme in orto a celebrare un piccolo festival dedicato proprio al caffè.
Anche se siamo ancora in fase di sperimentazione, è possibile ipotizzare nel futuro una produzione italiana di caffè che, per altro, abbatterebbe molto il costo del prodotto?
È presto per dirlo e non lavoriamo in questo scenario. Facciamo piccoli passi, sappiamo bene che la vocazionalità ambientale è quella che è, limitata e da testare nel tempo e nello spazio. Ma cosa è la ricerca se non la possibilità di immaginare scenari che ancora non sono prevedibili? Quello che stiamo facendo adesso è una prova su microscala, il domani si vedrà e noi saremo lì, certamente, per continuare a comprendere. Quando i nostri Maestri da Savastano a Casella a Calabrese, per primi provarono di introdurre in coltura le specie tropicali, furono in molti a criticare, ma oggi il nostro gruppo di ricerca sulle specie da frutto tropicali, mango e avocado in testa, fa fatica a tenere a bada chi, comunque e dovunque vuole provare e il prof. Farina che, a Palermo e in Italia, ha splendidamente raccolto quella eredità è spesso nella condizione, opposta rispetto a chi ci ha preceduto, di raffreddare, da eccellente ricercatore quale è, eccessivi entusiasmi, cercando di guidare tutto il settore nell’ottica di una corretta prudenza agronomica, la sola capace di portare a risultati replicabili nel tempo e nello spazio.