Pagliai – Non c’è dubbio che negli ultimi cinquant’anni le conoscenze sul suolo sono aumentate a dismisura; oggi disponiamo di miriadi di dati nella letteratura scientifica internazionale e le metodologie e la strumentazione attualmente a disposizione dei ricercatori non hanno niente da invidiare, ad esempio, ai mezzi adoperati per lo studio del corpo umano, basti pensare all’evoluzione della sensoristica, dell’analisi d’immagine fino ad arrivare alla microtomografia basata su radiazione di sincrotrone. A fronte di queste conoscenze, nell’ambito della comunità scientifica, si riscontra nell’opinione pubblica, inclusi i decisori politico-amministrativi a livello globale, una quasi totale mancanza della percezione dell’importanza della risorsa suolo e dal fatto che da essa dipenda il 95% del cibo necessario all’umanità. Ma tornando all’evoluzione delle metodologie non vi è dubbio che l’affermazione dell’uso dei sensori nello studio del suolo rappresenta una delle metodologie più innovative ed in forte espansione.
Priori – Si, negli ultimi 10-15 anni c’è stato un progressivo e continuo sviluppo tecnologico sui sensori per il monitoraggio e la cartografia del suolo. Esistono due grandi famiglie di sensori, quelli da remoto, ovvero utilizzati tramite satellite, aereo o drone, e quelli prossimali, utilizzati a diretto contatto o a pochi cm dalla superficie. I sensori remoti, in particolar modo quelli da satellite, hanno la capacità di coprire grandi aree, ma, per il monitoraggio del suolo, sono soggetti a maggiori errori legati alla copertura vegetale, ai residui colturali, alla diversa zollosità del terreno ed alla pietrosità superficiale. Inoltre, riescono ad indagare solamente i primi cm di suolo. I sensori prossimali superano queste difficoltà e riescono ad indagare anche profondità superiori al metro, ma hanno la possibilità di coprire superfici minori. I sensori prossimali si dividono, a loro volta, in sensori mobili, utilizzati nella cartografia, e sensori fissi o puntuali, utilizzati per il monitoraggio delle variazioni temporali del contenuto idrico o di altre caratteristiche, tra cui la salinità.
Pagliai – Nel dialogo precedente con Marcello Mastrorilli sull’irrigazione di precisione (v. https://www.georgofili.info/contenuti/risultato/29740) è stata messa in evidenza l’importanza dei sensori per il monitoraggio dell’acqua nel suolo proprio per gestire questo tipo di irrigazione ma, in pratica, come si opera?
Priori – Per progettare bene l’irrigazione, ed eventualmente adottare sistemi di irrigazione di precisione, serve conoscere come varia l’acqua nella parte di suolo interessata dalle radici. Questa conoscenza deve rispondere a tre domande che riguardano l’acqua di irrigazione: Dove? Quando? Quanta? Bisogna conoscere la variabilità spaziale dei suoli, quindi cartografarne le proprietà fisiche-idrologiche, per capire se esistono aree a diverso comportamento all’interno dell’appezzamento. Questa cartografia di alto dettaglio può essere supportata dall’utilizzo di sensori prossimali, o talvolta remoti. Ad esempio, il sensore ad induzione elettromagnetica è utilizzato proprio per la mappatura della conducibilità elettrica apparente, strettamente legata alla tessitura e alla ritenzione idrica. Per conoscere le risposte alle due domande “quando e quanta” deve invece essere effettuato un monitoraggio su punti rappresentativi dell’appezzamento o di aree omogenee individuate tramite il rilevamento precedente. Per effettuare questo monitoraggio possono essere impiegati sensori fissi che misurano le variazioni temporali del contenuto idrico o del potenziale idrico del suolo, oppure monitorare il comportamento della pianta. Sebbene possano sembrare approcci molto costosi e complessi, oggi possono essere utilizzati anche dalle piccole e medie aziende agricole. La cartografia del suolo può essere fatta “una tantum” con costi non eccessivamente elevati, mentre il monitoraggio temporale dell’umidità del suolo o dello stress idrico delle piante, nonché il supporto alle decisioni agronomiche, oggi è garantito da diverse start-up innovative di consulenza, a costi sostenibili.
Pagliai – Vista, appunto, l’evoluzione della sensoristica, quali altri usi possono avere i sensori nello studio del suolo, alla luce anche del fatto che il 5 luglio 2023 la Commissione Europea ha pubblicato il testo della proposta di Direttiva per il monitoraggio e la resilienza del suolo (Soil Monitoring Law), con l’obiettivo di ottenere suoli in salute (healthy soils) entro il 2050 in tutto il territorio dell’Unione?
Priori – Mentre l’ottimizzazione della sensoristica e delle tecniche rivolte all’agricoltura e all’irrigazione di precisione è in atto da almeno un decennio, se non di più, la sensoristica da applicare al monitoraggio della qualità del suolo è sempre in pieno sviluppo. L’Unione Europea è intenzionata a fornire contributi per le pratiche di agricoltura rigenerativa dei suoli, o al carbon farming più in generale, purché sia dimostrato che tali pratiche adottate da un’azienda agricola vadano effettivamente a migliorare il contenuto di sostanza organica nel suolo ed i servizi ecologici associati.
La tecnologia più conosciuta nel campo del monitoraggio della sostanza organica nel suolo è senz’altro la spettrometria di riflettanza diffusa nel campo del visibile e dell’infrarosso vicino (Vis-NIR). È una tecnica piuttosto complessa ed effettuata con strumenti molto costosi fino a pochi anni fa. Negli ultimi anni, il progresso tecnologico ha permesso di immettere sul mercato spettrometri Vis-NIR o NIR a costi molto più contenuti, di circa 1/10 più bassi rispetto ai tradizionali strumenti. Nel mondo, sono nate quindi diverse start-up innovative con l’obiettivo del monitoraggio dei suoli tramite questa tecnologia, che stanno lavorando anche al processo di certificazione dei crediti di carbonio e del miglioramento della qualità del suolo, proprio in vista dei nuovi obiettivi agro-ecologici e climatici europei e non solo.