La voce dei trattori e la voce delle campagne

di Agnese Cabigliera e Pietro Pulina
  • 28 February 2024

Ciò che ha maggiormente destato impressione della recente “protesta dei trattori”, che ha attraversato e interessa ancora diversi angoli d’Europa, è la sua connotazione spontanea: un fiume che è straripato da argini che apparivano stretti e non più adeguati a regimentare umori, speranze e progetti delle donne e degli uomini che vivono nelle campagne. Se da un lato tale impulsività incontrollabile ha inevitabilmente portato con sé improvvisazione, assenza di organizzazione e una comunicazione non chiara e spesso contraddittoria, e pertanto facilmente strumentalizzabile da chi vorrebbe ricacciare il fiume nel suo letto, dall’altro ha rivelato la frustrazione di un mondo che da tempo chiede solo di essere capito. Troppi soggetti, oggi, si occupano di agricoltura e ne decretano le sorti, spesso senza avere contezza del reale stato della vita rurale. Si parla di tecnici, di pseudo-rappresentanti, di burocrati che ogni giorno dispongono, interpretano e sanciscono norme, piattaforme e protocolli. Tutti parliamo in nome e per conto degli agricoltori e degli allevatori, ma non li ascoltiamo più con l’attenzione necessaria per aver coscienza delle loro quotidianità, presi come siamo dalle nostre narrazioni. E allora, scendiamo dalla cattedra, dal pulpito, dallo scranno, e ascoltiamoli. La lezione oggi proviene da Agnese Cabigliera, allevatrice sarda che ho l’orgoglio di aver conosciuto nelle aule del mio Ateneo a Sassari e che oggi conduce una brillante attività d’impresa, in cui la redditività si coniuga con la sostenibilità, la passione con la competenza, il coraggio con la prudenza. Ecco il suo pensiero, ecco la voce delle campagne. 

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Esistono delle considerazioni che vengono fatte da chi non vive nelle campagne, quando si rivolge a noi pastori, e riguardano i pagamenti degli aiuti comunitari. Almeno una volta nella vita, un pastore, si è sentito mortificato da un ignorante che afferma che lavorare in campagna sia semplice, perché il nostro è un settore continuamente foraggiato da Stato e Unione Europea e, in aggiunta, lavorare all'aria aperta non è un lavoro. Gestire e lavorare in un'azienda agricola, oggi, non è semplice e, la confusione che passa dai canali di informazione non aiuta. Si mischia la farina di grillo, con il ritardo nell'erogazione dei pagamenti comunitari, e la "carne sintetica" con il Green Deal.
Chi oggi ha un'azienda agricola, si trova a fare i conti con un mondo che è andato molto più veloce di quanto si sia sviluppato il nostro settore; la globalizzazione e la riduzione del potere d'acquisto dei cittadini fanno il resto. Troppo spesso si dimentica che il settore agricolo produce cibo, è questo lo scopo principale di chi sceglie di lavorare, investire risparmi e vita in agricoltura.
Quando, nel 1962, è nata, la politica agricola comunitaria (PAC) aveva l'obiettivo di ridurre il divario di reddito tra chi lavorava la terra e chi lavorava in un altro settore, perché si doveva migliorare la produttività agricola e si dovevano garantire dei prezzi accessibili dei prodotti a tutti.
Ai tempi dell'Università, quando la studiai, ne rimasi affascinata, perché si poteva cogliere il pensiero nobile con cui era stata definita, e soprattutto si dava dignità al mondo agro-zootecnico. Le sovvenzioni studiate dalla PAC permettono di ridurre i prezzi dei prodotti alimentari: se non ci fossero gli aiuti comunitari, il pane, il latte, la frutta, e tutto ciò che mettiamo sulle nostre tavole, costerebbe almeno tre volte tanto.
Dal 1962 ad oggi, la PAC ha subito dei mutamenti, nel senso che ha implementato nuovi concetti e si è posta degli obiettivi che ci hanno permesso di garantire la sanità alimentare, il benessere animale e la tutela dell'ambiente. Lo strumento bellissimo di innovazione del settore agricolo che nel corso degli anni ci è stato dato dalla PAC, oggi si è trasformato in una serie di norme, limiti, divieti e imposizioni, che ci hanno portato alle proteste che da diverse settimane sono portate avanti dagli agricoltori, non solo in Italia, ma in quasi tutta l'Europa.
Quando gli Stati membri dovevano attuare regolamenti restrittivi che modificavano la gestione aziendale, si giustificavano con un semplice "ce lo chiede l'Unione Europea! " facendo intendere che tutto fosse calato dall'alto, ma non era sempre così. La PAC è progettata in modo tale che gli Stati membri possano programmare le politiche nazionali in base alle loro peculiarità. Quindi la domanda da porsi è: cosa fa ogni Stato per portare la propria voce a Bruxelles? Gli Stati conoscono davvero la varietà produttiva, sociale ed economica presente nel settore agro-zootecnico?
L'obiettivo che si pone l'Unione Europea per il 2050, è l'azzeramento delle emissioni di gas serra. Il settore primario produce a livello globale circa un quinto delle emissioni antropiche di gas serra, e allo stesso tempo, l'agricoltura è il settore che più risente dei cambiamenti climatici; quindi, si capisce che se non si pone un limite, si assiste ad una sorta di legge del contrappasso.
Noi imprenditori agricoli sappiamo benissimo cosa significa cambiamento climatico, perché lo viviamo ogni giorno sulla nostra pelle: estati sempre più calde ed inverni sempre più miti e siccitosi, che compromettono il raccolto e la salute dei nostri animali; però quello che non capiamo è come mai non esistano delle leggi che regolino il mercato globale. Per ridurre le emissioni di gas serra provenienti dall'agricoltura, e quindi migliorare la sostenibilità ambientale, sono state definite una serie di norme che vietano o riducono l'uso di alcuni antiparassitari e diserbanti, che invece sono consentiti in altri Paesi dai quali importiamo generi alimentari. Si capisce che i prezzi di un prodotto sostenibile non possono essere gli stessi di un alimento che non lo è. In aggiunta, in Italia, abbiamo politiche più restrittive, rispetto ad altri Paesi UE, sia per quanto riguarda l'agricoltura, basti pensare a Spagna e Romania, per citarne alcuni, che coltivano mais OGM, sia per l'allevamento, pensiamo al sistema Classyfarm, che attualmente è presente solo in Italia e rappresenta un sistema di monitoraggio della biosicurezza e dell'uso di antibiotici.
Ovviamente tutte queste restrizioni e regole, vengono imposte con l'obiettivo di garantire una maggiore sicurezza alimentare, per tutelare maggiormente il consumatore, ma comportano un ulteriore carico di lavoro per chi opera nel settore primario, in termini di burocrazia e di gestione, che purtroppo non vengono ripagati dal prezzo di vendita dei prodotti agricoli, e dai pagamenti della PAC. La protesta di queste settimane è il risultato di un'implosione di questo meccanismo di regole/pagamenti.
Gli agricoltori e gli allevatori si ritrovano abbandonati a sé stessi, carichi di adempimenti e con le tasche vuote, perché i pagamenti hanno dei ritardi, imputabili talvolta all'ente pagatore, talvolta ai vari meccanismi burocratici che si inceppano e fanno implodere tutto il sistema. Siamo arrivati all'orlo del precipizio, e ci sono troppe cose che tirano il nostro settore nel vuoto:
-cambiamenti climatici,
-scarso ricambio generazionale,
-energie rinnovabili che invadono le nostre campagne con pale eoliche e pannelli fotovoltaici a terra,
-burocrazia,
-costi esagerati di carburanti e materie prime,
-pressione fiscale crescente,
-ritardi nei pagamenti UE.
A questo punto, è fondamentale una seria programmazione politica, e una collaborazione attiva tra aziende agricole, università ed enti di ricerca, per trovare delle soluzioni che impediscano lo spopolamento delle campagne. È importante che le associazioni di categoria rappresentino l'agricoltura, facendo da portavoce del settore e delle sue reali necessità, e non dello schieramento politico di turno.
La protesta dei trattori di queste settimane deve essere sentita non solo da agricoltori e allevatori, ma da tutti, perché si sta giocando la partita per il nostro futuro, perché tutti abbiamo bisogno di cibo, e il cibo si fa nelle campagne.