Pagliai – L’acqua è una risorsa preziosa e indispensabile e non va sprecata; talvolta, purtroppo, diventa calamità quando è troppa (alluvioni) o quando è troppo poca (siccità). A proposito di quando è troppa c’è da osservare che le cause delle catastrofi recenti, a parte la crisi climatica in atto con eventi piovosi sempre più estremi e la cementificazione incessante, vengono da lontano e precisamente intorno agli anni ’60 del secolo scorso in concomitanza del così detto “boom economico” quando il modello di sviluppo di allora portò all’abbandono di vaste aree di collina e montagna considerate marginali e quindi all’abbandono dell’agricoltura e della pastorizia perché quelle braccia erano più redditizie se impiegate nello sviluppo industriale e edilizio. Con l’abbandono dell’agricoltura cessarono anche le opere di manutenzione del territorio e da qui, complici i cambiamenti climatici, sono iniziati quei fenomeni di forte erosione del suolo, con le relative catastrofiche conseguenze. Gli agricoltori rimasti nella bassa collina e nelle pianure furono indottrinati all’aumento delle produzioni, all’uso sfrenato di fertilizzanti chimici, alle monocolture con continue lavorazioni profonde con il risultato che nel tempo si è formato uno strato compatto al limite inferiore dell’aratura (“suola d’aratura”) che di fatto impedisce il drenaggio del terreno; da qui gli allagamenti di questi terreni quando piove in forma di nubifragio come ormai accade di regola.
Bottino – Condivido la tua introduzione, io suggerirei due parole: storia e scienza. Storia perché dobbiamo conoscere l’evoluzione del territorio nel suo complesso e trarne insegnamento. Ad esempio, se esaminiamo una foto aerea del 1954 di Campi Bisenzio vediamo tutti campi coltivati, ben sistemati e regimati; se esaminiamo una foto attuale vediamo tutte case. Scienza perché occorre una completa interazione con tutti gli operatori del settore. I modelli idraulici attualmente disponibili risalgono al 1960 dove, ad esempio, nell’alluvione del 1966 piovvero 170 mm in 24 ore, il 3 novembre scorso sono piovuti 200 mm in 4 ore. In questa situazione il reticolo idrico minore non ha retto e la cementificazione, su ricordata, ha fatto il resto. Per la messa in sicurezza di tale reticolo occorre una programmazione dettagliata e fondi certi. Proprio quest’ultimo è sempre il punto debole, tanto che i Consorzi di Bonifica nelle loro opere di manutenzione sono costretti ad andare avanti operando per lotti in base ai fondi disponibili; in occasione di eventi estremi il punto debole è rappresentato proprio dai lotti incompiuti.
Pagliai – In effetti le opere di regimazione di tutto il reticolo idrico necessiterebbero proprio di cominciare dalla sua origine in montagna.
Bottino – Infatti, bisogna ridisegnare il nostro approccio nel senso che è finito il tempo delle grandi opere strutturali per la sistemazione dei corsi d’acqua in pianura dove è fondamentale invece una manutenzione straordinaria mentre le opere strutturali devono essere realizzate in montagna. Per questo occorre il completo coinvolgimento dell’agricoltura, delle foreste, degli Enti Locali, ecc. e, ovviamente, un programma di messa in sicurezza del territorio con i relativi fondi che siano finalizzati, finalmente, alla prevenzione e non ad interventi postumi, fra l’altro, anche più onerosi. È indispensabile, inoltre, una urgente semplificazione della burocrazia in modo da poter intervenire celermente quando è necessario, ad esempio, ripulire un corso d’acqua da trochi d’albero e altri materiali che ne ostruiscono il regolare deflusso. Infatti, in occasione delle recenti alluvioni dalla montagna è venuto giù, oltre ad una enorme massa di suolo che ha ricoperto la pianura di fango, pezzi di foresta.
Pagliai – Riguardo l’altra faccia della medaglia, cioè quando l’acqua è troppo poca e, di conseguenza, abbiamo lunghi periodi di siccità. In recenti convegni sul tema all’Accademia dei Georgofili si sottolineò che nell’immediato vi è la necessità di attuare un Piano quadro nazionale finalizzato, sia a recuperare e accumulare l’acqua piovana, attraverso la creazione di serbatoi e piccoli e medi invasi, sia a incrementare la raccolta dell’acqua non trattenuta dal suolo (drenaggio, ruscellamento) con la realizzazione di piccoli e medi bacini di raccolta, nonché il ripristino della funzionalità dei numerosi “laghetti” già esistenti, anche con funzione di laminazione delle piene.
Bottino – Mentre le alluvioni in seguito ai violenti nubifragi non sono prevedibili sia nel tempo che nello spazio, il fenomeno della siccità ormai è un dato certo. Sappiamo che ogni anno andiamo incontro a periodi siccitosi più o meno lunghi, non solo in estate ma anche in inverno. L’unico rimedio per fronteggiare questa emergenza è lo stoccaggio dell’acqua piovana. Sappiamo che con le piogge violente, ormai consuete, l’acqua non si infiltra nel terreno e arriviamo a perderne fino addirittura al 90%; occorre quindi riuscire ad immagazzinare e conservare una parte di questa acqua e le aziende agricole dovrebbero adoperarsi per questo. Inoltre, nelle opere strutturali per la regimazione dei corsi d’acqua in montagna, come già detto, è necessario provvedere alla realizzazione di piccoli e medi invasi proprio per trattenere e conservare l’acqua. Anche in questo caso occorre una semplificazione burocratica e vincere quella ritrosia contro la realizzazione di queste opere. Se vogliamo uno sviluppo sostenibile abbiamo bisogno dell’acqua e quindi bisogna adoperarsi per averla disponibile quando è necessario, cioè nei periodi di siccità. A questo proposito ANBI ha un “piano laghetti” che prevede proprio il recupero degli esistenti e la creazione di nuovi piccoli e medi invasi. Ovviamente, come detto, per la sua realizzazione occorrono regole semplici e chiare e i fondi necessari.
Se vogliamo che l’acqua sia una risorsa, come tale va trattata, cioè tutelata con un’efficace regimazione e con opere atte alla sua conservazione; se non facciamo questo diventa una calamità di cui si occuperà poi la Protezione Civile.
Pagliai – Uno slogan di ANBI è quello di “riportare l’uomo sul territorio” ma come è possibile se le montagne e gran parte delle aree collinari si svuotano sempre di più e i giovani che per passione vorrebbero riprendere antichi mestieri come la pastorizia non vengono adeguatamente supportati con aiuti e politiche di lungo termine?
Bottino – Questo è un tema che riguarda la programmazione politica e, anche in questo caso, occorre la collaborazione di tutti i soggetti della montagna a cominciare dall’ANCI. In primo luogo, occorrerebbe, intanto, trattenere la gente che già c’è, invertendo il processo di emigrazione dalla montagna e per questo sarebbe fondamentale, oltre alle opere strutturali di regimazione idrica di cui abbiamo detto sopra, migliorare i servizi, la viabilità, i collegamenti alla rete internet e tutto ciò che può rendere dignitosa e confortevole la vita in montagna. Per programmare una corretta gestione del territorio sarebbero fondamentali, anche per questo, regole chiare che consentissero di mettere ordine nella eccessiva parcellizzazione delle proprietà, visto che di alcuni micro-appezzamenti è anche difficile persino contattare i proprietari. Occorre, in sostanza, una nuova “cultura” di sviluppo futuro viste le criticità che si palesano quotidianamente e che dobbiamo affrontare se continuiamo seguendo l’attuale modello di sviluppo.