Alla fine la rabbia agricola ha contagiato anche l’Italia. Non ci voleva molto. Il malcontento, sia pure sotto traccia, era dilagante in particolare nei settori dell’agricoltura ‘continentale’: latte, carne, allevamenti, cereali. Cioè quelli che fino a pochi anni fa avevano goduto di una certa stabilità dei prezzi e dei maggiori benefici della PAC. Ma, già a fine agosto, sull’Informatore Agrario il prof. Angelo Frascarelli (ex presidente Ismea) aveva ammonito: “Siamo di fronte ad una fortissima volatilità dei prezzi, dei costi, delle rese. A ciò si aggiunge l’aumentata incidenza del costo del denaro. Alla fine, nonostante i prezzi alti (al consumo, NdR), il reddito – che è la sintesi del bilancio aziendale – rimane basso o addirittura negativo”.
Prezzi volatili e rese incerte, era la sintesi dell’analisi di Frascarelli. Con la conseguenza di redditi ancora più incerti non solo per l’ortofrutta – che con prezzi volatili e rese incerte convive da sempre – ma anche per tutti gli altri grandi settori della nostra agricoltura. Da settembre in poi è accaduto un fatto nuovo. Il dialogo fra mondo agricolo (le sue rappresentanze ufficiali, cioè le 3-4 confederazioni) e governo Meloni stava dando risultati tangibili (forse mai visti prima). Basta leggersi i comunicati ufficiali di fine novembre e dicembre 2023 di Coldiretti sempre plaudenti verso il governo. “Ammonta ad oltre 2 miliardi di euro il valore delle misure in manovra che impattano sull’agroalimentare italiano, a tutela di un comparto strategico per la crescita del Paese” (21 dicembre), dice la nota di palazzo Rospigliosi, che prosegue: “ “Una finanziaria nel complesso positiva poiché il Governo è riuscito a dedicare la giusta attenzione al settore agroalimentare, attraverso importanti novità e la conferma di misure strategiche per il sostegno delle attività imprenditoriali agricole – spiega il presidente Prandini nel sottolineare che “avremmo tutti voluto certamente qualcosa di più ma occorre tenere conto dei limiti e della situazione economica del Paese”. Più o meno sulla stessa linea, con qualche distinguo, le altre confederazioni.
Andava tutto bene? In realtà il racconto era troppo ottimistico, il fuoco covava sotto la cenere. All’inizio del nuovo anno arriva il Crea (organismo ministeriale, quindi ufficiale) con una nota del direttore Stefano Vaccari, a rompere l’idillio. Tracciando un bilancio del 2023 il Crea mette insieme numeri impietosi: la lunga crisi dell’agricoltura italiana prosegue, in caduta il valore aggiunto, la produttività, gli investimenti, la spesa pubblica, il credito alle imprese (ma non all’industria alimentare). “La crisi produttiva agricola italiana mostra dunque un trend consolidato”, dice Vaccari. E non basta a spiegarla il cambiamento climatico. “Molto si può fare ancora in termini di incentivazione all’imprenditoria agricola per tornare almeno ai livelli produttivi di venti anni fa”. Insomma il quadro italiano non era così roseo come si voleva far credere. In più l’Europa continuava a dimostrarsi sorda alle richieste del mondo produttivo agricolo visto quasi come una controparte, un nemico rispetto alle esigenze del Green deal, della transizione ecologica/energetica, degli obiettivi stringenti del Farm to Fork, di una PAC sempre più burocratica, di una Europa sempre meno produttiva e sempre più aperta all’import. Dossier problematici come gli imballaggi e la riduzione delle molecole dei fitofarmaci hanno messo sul piede di guerra non solo il mondo dell’ortofrutta ma tutto il mondo produttivo del nord, est e sud Europa che ha visto in un decennio le imprese agricole calare da 12 a 9 milioni. Poi il taglio delle agevolazioni fiscali al gasolio agricolo è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso in Germania e in Francia. Questa lunga premessa per dire che la mobilitazione degli agricoltori tedeschi, poi dei francesi, degli olandesi (che hanno fatto cadere il governo Rutte), dei polacchi, ha acceso la miccia di un incendio anche in Italia. Con la differenza che in Italia i comitati spontanei che sono scesi in marcia con i loro trattori – Cra, Gta Trasversali, Agricoltori traditi, ‘forconi’ vari, – contestano anche le confederazioni agricole di cui molti di loro sono (o erano) soci. Sullo sfondo una PAC che può essere terremotata dal prossimo allargamento all’Ucraina (gigante agricolo) e le elezioni europee di giugno.
Che fare? La commissione UE si è subito mossa aprendo un ‘dialogo strategico’ col mondo agricolo e promettendo (tra le righe) di rimettere mano ai dossier più caldi, come la transizione ecologica, il Green deal e il Farm to Fork, gli imballaggi e il taglio dei fitofarmaci. Ma c’è da vedere cosa uscirà dal trilogo con l’Europarlamento e il Consiglio UE. La protesta italiana ha un carattere anarchico, contro tutto e tutti: confederazioni agricole, Europa, governo, multinazionali, globalizzazione, banche, sindacati ecc. Con aspetti paradossali: circola un video in cui il ministro Lollobrigida a confronto con i contestatori, accetta il dialogo sul merito dei problemi e finisce tra gli applausi. Se si voleva dare il segnale che “non va tutto bene”, il segnale è arrivato. Se si vuole cambiare davvero qualcosa e ottenere risultati concreti – ad esempio su alcuni dossier importanti come le pratiche sleali , la gestione di rischi, la burocrazia italiana che sommata a quella europea crea un mix devastante – la contestazione globale, la rabbia contro la politica, contro tutto e tutti, i blocchi autostradali, i disagi ai comuni cittadini, rischiano di ottenere l’effetto opposto e di offrire all’opinione pubblica l’immagine di una agricoltura che chiede solo “sovvenzioni e detassazioni” e di essere mantenuta dallo Stato (e dai consumatori) .
*direttore Corriere Ortofrutticolo e CorriereOrtofrutticolo.it