Il Gal Montagnappennino, insieme all'Accademia dei Georgofili, ha organizzato lo scorso 26 gennaio presso il Palazzo dei Capitani di Cutigliano un evento dedicato alla viticoltura di montagna, intesa come pratica utile ad accrescere l'economia locale. L’iniziativa ha riscosso un notevole successo di pubblico, mettendo a confronto le aziende del territorio con il mondo scientifico, le istituzioni e le associazioni di categoria sulle prospettive del settore.
Ne abbiamo parlato col giornalista Stefano Tesi che ha moderato il convegno.
Stefano, sul tuo giornale on line alta-fedelta.info hai scritto che sulle prospettive aperte, per il clima che cambia, a una viticoltura “di montagna non per forza eroica”, emergono i rischi e le opportunità di un fenomeno in crescita, da cavalcare con prudenza. Che cosa intendevi?
In Italia il 9% dei vigneti (dato Osservatorio UIV) è coltivato a più di 700 metri sul livello del mare e in Toscana sono circa 1.200 gli ettari di vigna ubicati a oltre quella quota, che segna il discrimine tra collina e montagna. Sono inoltre già una decina le aziende vitivinicole attive nel comprensorio montano di Pistoia, Lucca e Alta Versilia, un fenomeno di recupero e di reinsediamento fino a qualche anno fa inimmaginabile. Sul versante opposto della regione, il Monte Amiata, non solo si vivono gli stessi fermenti ma, complice la vicinanza con Montalcino, si è da tempo sollevato l’interesse pure di grandi e famose cantine, desiderose di investire sulla ricerca di aree più fresche ove produrre l’uva, e quindi il vino, di domani. La sensazione emersa dal convegno è stata di trovarsi di fronte a un’opportunità invitante, ma non priva di rischi e anzi ricca di incognite tutte da approfondire, onde evitare facili entusiasmi e passi falsi.
In che senso?
Da un lato è evidente come, a causa dell’innalzamento climatico, i terreni in quota – ritenuti inadatti alla viticoltura, se non “eroica“, e non di rado abbandonati da decenni proprio per la loro improduttività – possano tornare idonei alla coltivazione della vite, in fuga da calore e siccità, e quindi fungere da volano per la nascita di una nuova imprenditoria legata al vino. Dall’altro non devono sfuggire le criticità di quegli stessi contesti non solo sotto il profilo strettamente agronomico, ma anche o forse soprattutto idrogeologico, infrastrutturale, occupazionale e sociale. Criticità destinate quindi a rendere invitante, ma niente affatto scontata, la prospettiva di una potenziale transizione dalla fase dell’attuale ‘”eroismo” enoico fatto di pochi numeri a una viticoltura imprenditoriale soggetta alle leggi di un’economia tanto matura quanto articolata come quella vinicola. La questione dei nuovi vigneti in altura è infatti complessa almeno quanto complesso, e fragile, è per definizione l’ecosistema della montagna.
Spopolamento dei territori e polverizzazione fondiaria si possono superare?
Si tratta di ostacoli indiretti, divenuti endemici dei territori montani con la conseguente difficoltà per l’impresa di reperire terreni vitati o vitabili, spesso posseduti pro indiviso da proprietari numerosi e disinteressati a qualsiasi recupero. Durante l’incontro a Cutigliano ha fatto ad esempio rumore la testimonianza del vignaiolo che, per mettere assieme i campi sufficienti a realizzare un ettaro e mezzo di vigna, ha dovuto stipulare, per fortuna con un atto collettivo, ben 102 (centodue) contratti d’affitto diversi! Oreste Gerini del Masaf, nel suo intervento, ha difatti evidenziato che un provvedimento per agevolare la ricomposizione fondiaria è necessario non solo per il sostegno alla viticoltura, ma in generale per l’intera agricoltura di montagna. E ha anche richiamato le nuove difficoltà legate all’abolizione della compravendita dei diritti di reimpianto e la necessità, anche in quest’ottica, di provvedimenti agevolativi per la vitivinicoltura montana.
Da un punto di vista agronomico che cosa è emerso?
Paolo Storchi, georgofilo e dirigente al Centro di ricerca Viticoltura ed Enologia del CREA, ha ben delineato le difficoltà rappresentate dalla delicatezza delle scelte varietali, superabili o riducibili, ad esempio, attraverso il recupero di vitigni autoctoni e l’impianto di varietà a ciclo breve, e la necessità di provvedere ad accurate sistemazioni idraulico-agrarie, indispensabili per prevenire l’erosione in un contesto a rischio come quello montano. Naturalmente questo implica anche la presenza in loco di professionalità multidisciplinari diffuse e adeguate alle particolari condizioni delle aree di montagna. E la diffusione dell’innovazione tecnologica anche sotto il profilo della meccanizzazione del vigneto, come ha sottolineato il professor Marco Vieri dell’Università di Firenze.
Per approfondire l'argomento si legga anche: https://www.alta-fedelta.info/se-il-vino-toscano-prende-quota/?fbclid=IwAR0Eeo5awp3jecll7GTLNDalfu7p3QzEWLsSzHLLnSyTqTnw0wre333Lcww