Ai nostri lettori che, per vari motivi, non seguono tutti i giorni le notizie sulle novità nel campo degli alimenti prodotti industrialmente in laboratorio, sarà sfuggita la notizia che riguarda la messa a punto della tecnica di produzione di un latte vaccino “sintetico”. Non bastava la carne “coltivata”.
Nel numero del 5 gennaio 2024 della pubblicazione “Dairy Global”, da una nota a firma del corrispondente europeo Vladislav Vorotnikov, apprendiamo che quella del latte sintetico è un’industria emergente con molte start up impegnate nelle fasi di ricerca e sviluppo delle tecniche di produzione.
Nell’articolo si fa riferimento specificamente alla compagnia californiana “Perfect Day” come esempio significativo di una start up impegnata nel progetto. La Perfect Day ha coniato, a questo proposito, il seguente slogan: “noi cambiamo il processo produttivo, non l’alimento latte. Il prodotto finale sarà indistinguibile dal latte bovino. Il latte che uscirà dai bioreattori avrà lo stesso sapore, aspetto, gradevolezza e il buon valore nutritivo del latte naturale”. In aggiunta a questo, la Dr. Milena Bojovic dell’Università australiana Macquarie afferma: “il latte sintetico è amico dell’ambiente perché le sue proteine possono essere prodotte senza le vacche e questa è una opportunità significativa per ridurre l’emissione di gas serra, l’inquinamento delle acque, l’uso della terra e il benessere animale.
Prima di commentare queste precise osservazioni, diamo un’occhiata da vicino alle fasi del processo produttivo, come riportato dalle pubblicazioni della “Coldiretti Giovani Imprese” del 9 maggio 2023 e da altri su Internet, fra cui Riccardo De Marco (Geopop).
Il processo è fermentativo, condotto con l’impiego di lieviti geneticamente modificati per produrre le proteine del latte naturale. La fermentazione avviene all’interno di bioreattori che, ovviamente, dovrebbero essere alimentati con energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, per essere competitiva con quella solare utilizzata nella fotosintesi clorofilliana nella produzione dei foraggi. È poi necessario aggiungere fonti organiche di carbonio, azoto, solfo per la costruzione degli aminoacidi, nonché i grassi peculiari del latte naturale, le vitamine, i minerali, il lattosio e tutto quanto necessario per far somigliare il più possibile il latte sintetico a quello vero.
L’anno scorso la National Milk Producers Federation americana si è dichiarata nettamente contraria al progetto, osservando che il latte sintetico non risponde agli standard di qualità federali. I produttori americani hanno osservato che, se anche il prodotto venisse etichettato come “sintetico”, costituirebbe ugualmente un problema per le attività dei produttori convenzionali. Ma il think tank internazionale Rethinkx ha previsto che per il 2030 negli Stati Uniti si saranno creati 700.000 nuovi posti di lavoro nell’industria delle fermentazioni di precisione, con il risultato di abbassare le emissioni di gas climalteranti e produrre un latte a prezzi minori, distruggendo la vita dei produttori di latte naturale.
Dalle nostre parti, in occasione dell’evento “Tuttofood” tenutosi a Milano recentemente, Coldiretti, Filiera Italia, Assica, Assolatte, Unaitalia e Assocarni hanno lanciato un allarme contro il cibo sintetico sulle nostre tavole. Ricordiamo anche le autorevoli opinioni del presidente della Coldiretti Ettore Prandini, secondo il quale “abbiamo acceso i riflettori su un business in mano a pochi, ma molto influenti nel mondo, che può cambiare la vita delle persone e l’ambiente che ci circonda, mettendo a rischio la stessa democrazia economica e alimentare”. E ricordiamo il pensiero del nostro ministro Lollobrigida che ha dichiarato: “stiamo difendendo il futuro dei nostri figli e del mondo. Abbiamo avviato un percorso trasparente contro il cibo artificiale, cominciando con una raccolta di firme della Coldiretti”. Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Inalca spa ricorda: “a quelle quattro o cinque multinazionali che vogliono proporre l’omologazione, diciamo che l’Italia, con i suoi agricoltori, con l’eccellenza del know how dell’industria di trasformazione, con la qualità dei suoi prodotti e con il modello di sostenibilità guardato come esempio da tutto il mondo, continuerà a battersi perché sulle sue tavole possa arrivare un cibo sano e naturale. Continueremo a lavorare con il governo per non abbassare la guardia, salvaguardare il nostro tessuto produttivo e difendere i nostri standard di qualità da chi pensa che sia lecito mettere a rischio la salute dei consumatori a beneficio del solo profitto”.
Mentre leggevo tutte queste notizie e considerazioni, sostanzialmente pessimistiche nei riguardi delle nostre tradizioni zootecniche, come in una sorta di allucinazione ho immaginato la visione di una scena di alpeggio, con le vacche tranquille al pascolo su essenze foraggere profumate e ricche di caroteni, su prati di un verde rilassante, fra i monti. Ruminando, restituivano all’atmosfera i gas serra ricchi di quel carbonio che vi si trovava già prima di essere organicato nel foraggio con la fotosintesi clorofilliana e l’energia naturale del sole. In più, con le loro deiezioni concimavano il terreno senza la chimica. In lontananza una malga, dove il casaro stava lavorando il latte per farne deliziosi formaggi di montagna, burro colorato tenuemente di giallo e ricotta. Ho immaginato anche che parte del latte veniva portato a valle per farne del Grana di qualità da stagionare. Improvvisamente, la visione bucolica è svanita per lasciare il posto alla presenza grigia di uno stabilimento industriale, collegato ad una centrale elettrica alimentata chi sa come, con tanti capannoni prefabbricati e un paio di ciminiere fumanti. Sulla porta d’ingresso si poteva leggere la scritta: “Qui si produce il miglior latte sintetico” e sotto il nome di una nota multinazionale, proprietaria del brevetto industriale. Ho sperato che fosse solo una brutta visione.