Locale contro globale. Contrapposizione non nuova, che, in questi ultimi giorni, offre nell’agroalimentare nuovi spunti di riflessione (e più di una preoccupazione). Da un lato, la crisi scatenatasi in poche ore nel Mar Rosso ha messo a nudo la delicatezza degli scambi mondiali (anche alimentari); dall’altro, l’ormai più che invadente uso di imitare i prodotti agroalimentari italiani con tutte le conseguenze economiche del caso, ha scatenato atteggiamenti che lasciano piuttosto perplessi. Le due situazioni, hanno in comune più di un elemento: la globalizzazione alla quale l’agricoltura e l’agroalimentare sono sottoposti, la complessità delle relazioni in gioco, le dimensioni economiche della questione (che molto spesso sfuggono al consumatore comune). Tutto mentre in mezza Europa le proteste degli agricoltori hanno dato il segno tangibile di quanto alta sia la tensione sui temi agricoli e agroalimentari.
Crisi del Mar Rosso. In poche ore, a seguito degli eventi scatenatisi dagli attacchi dei ribelli Houthi dello Yemen alle navi in arrivo dal Canale di Suez, il normale flusso via mare di merci è apparso a rischio. Stando ai primi dati diffusi, e solo per quanto riguarda l’ortofrutta, in difficoltà vi sarebbero vendite per centinaia di milioni di euro. Potenzialmente – è stato spiegato da Fruitimprese, che raccoglie una parte significativa della produzione del comparto -, il danno arriverebbe a 500 milioni di euro, a cui si devono aggiungere le ripercussioni causate da 150mila tonnellate di prodotto di altri paesi europei che potrebbero rimanere sul mercato locale. Per capire, basta sapere che per quanto riguarda il Medio Oriente le vendite valgono circa 350mila tonnellate di ortofrutta, per un valore di 400 milioni di euro. Mentre in India e Sud Est Asiatico arrivano mediamente 120mila tonnellate di frutta e verdura italiane per circa 100 milioni di euro a valore. Situazione difficile, quindi, anche senza tenere conto dell’aumento dei tempi e dei costi di spedizione. “Pirati” alla vecchia maniera che nell’era della globalizzazione e della digitalizzazione, in poco tempo sono riusciti a mettere in crisi interi settori economici, anche a migliaia di chilometri di distanza.
Poi ci sono gli effetti del cosiddetto “italian sounding”. Il mercato plurimiliardario dell’agroalimentare che imita (spesso malamente) il meglio della produzione agroalimentare nazionale, fa ormai danni da decenni. E non solo dal punto di vista economico. Si tratta di un altro aspetto della globalizzazione che pone a confronto due estremi. Da un lato, sono regole tecniche e sanitarie sempre più stringenti, barriere all’entrata in determinati mercati, vere e proprie lotte senza quartiere in difesa delle prelibatezze locali. Dall’altro, è la necessità di una sempre più forte integrazione dei mercati e delle risorse, un’apertura dei flussi commerciali, una condivisione delle produzioni alimentari. In altre parole, da una parte è la chiusura a prodotti e mercati, dall’altra è la spinta a condividere risorse alimentari e tecnologiche che possono essere patrimonio dell’umanità. Con situazioni che hanno del paradossale. Come è accaduto con il Radicchio Rosso di Treviso IGP il cui Consorzio di tutela ha chiuso le porte delle aziende aderenti ad una delegazione di produttori statunitensi. Gesto ad un tempo legittimo ma clamoroso. Certo, il Consorzio ha precisato di non avere nulla da nascondere, ma di ritenere molto controproducente e contrario a tutte le azioni di promozione e tutela dare know how a produttori fuori zona e soprattutto in zone dove si cerca di aprire da anni un mercato di commercializzazione. E la necessità di condividere scienza e tecnica per il bene comune (che tra l’altro dovrebbe essere obiettivo proprio della produzione agricola)? Per dovere di cronaca, è bene precisare che in altre aree di produzione, anche limitrofe, le scelte sono state diametralmente opposte. Ma sempre per dovere di cronaca, c’è anche chi commentando ha ricordato come gli innumerevoli esempi di imitazione del buon Made in Italy agroalimentare sottraggano “risorse e opportunità di lavoro all’Italia”.
Locale contro globale, quindi. Oggi come ieri, nel lontano Mar Rosso e nel vicino Trevigiano. Una condizione che, a ben vedere, ripropone contrapposizioni mai sanate tra territori ed economie.